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REVIEWSLE RECENSIONI
15/11/2024
Myles Kennedy
The Art Of Letting Go
Giunto al terzo album solista, il cantante degli Alter Bridge sforna il suo disco migliore, una tirata rock potente, elettrica e gravida di tensione.

Il senso di Myles Kennedy per il rock. Così potremmo succintamente definire il terzo album solista del cantante degli Alter Bridge. Se Year Of The Tiger (2018) era uno sfogo acustico dopo una carriera prestata all’elettricità, e The Idles Of March (2021), uscito in piena pandemia, lambiva territori contigui al southern, questo nuovo The Art Of Letting Go vede Kennedy alle prese con quello che sa far meglio: suonare rock e suonarlo potente e senza fronzoli.

La mano, in zona produzione, è quella del fidato Michael “Elvis “ Basquette, mentre a fianco del cantante e chitarrista si allineano due musicisti con i contro zebedei, Zia Uddin alla batteria e Tim Tournier al basso.  Il risultato è un disco diretto e immediato, semplice ma non privo di stratificazioni, trainato da un’energia debordante che dà lustro alla solita, ineguagliabile voce, al tiro degli strumenti, tanto tecnico quanto grintoso, e a una produzione capace di rendere super moderno quel suono da power trio, le cui radici proliferano in un terreno vecchio di decenni.

 

Ogni canzone gronda pathos ed è spinta da una tensione quasi palpabile, figlia di quel senso di libertà che si prova quando si fa ciò che si ama, senza vincoli, senza nessuno a cui dover rendere conto. E’ rock, puro e semplice, che nasce solo ed esclusivamente dal piacere di suonarlo, sprizzando sudore, appiccando incendi, strattonando l’ascoltare verso una purezza che manca a molta musica che si ascolta oggi.

Senza distogliere completamente lo sguardo dall’inevitabile retroterra blues ("Saving Face"), The Art Of Letting Go è un disco che picchia duro, e che si muove sui quei terreni che Kennedy frequenta a capo degli Alter Bridge o come spalla di Slash. Non mancano, ovviamente, momenti più rilassati, in cui è la melodia soprattutto ad accarezzare lo orecchie, come avviene nella malinconica "Eternal Lullaby", un episodio che rallenta il passo di un disco che, per converso, corre selvaggio, tenendo un ritmo impetuoso che non fa prigionieri.

 

Il piatto forte, è quasi banale sottolinearlo, è la splendida voce di Kennedy, il cui timbro è tra i più immediatamente riconoscibili del panorama rock, e la sua performance che, come di consueto, lascia a bocca aperta, per tecnica, estensione, fantasia e per quella innata versatilità, grazie alla quale, anche nello stesso brano, può contemporaneamente accarezzare e scuotere selvaggiamente l’ascoltatore.

Ci sono, però, anche le canzoni, quasi tutte di livello, a partire da "Behind The Veil", che inizia morbidissima e poi parte in derapata a cento all’ora, fondendo echi settantiani e piglio moderno, l’ariosa e trascinante "Miss You When You’re Gone", un brano che sembra scritto apposta per essere ascoltato in macchina, i finestrini abbassati e un vento di elettricità nei capelli, la scalpitante "Mr.Downside" o la galoppante "Nothing More To Gain", che tira dritta come un fuso verso un ritornello uncinante.

 

Senza nulla togliere ai due precedenti album solisti, entrambi decisamente buoni, The Art Of Letting Go è il disco migliore del cantante originario di Boston, quello che suona più Myles Kennedy di tutti, quello che ne conferma lo status di autentica potenza in ambito hard rock. Alzate il volume e lasciatevi travolgere da questa ondata di vibrante elettricità: pochi dischi rock, usciti quest’anno, sono all’altezza di cotanta potenza di fuoco.