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REVIEWSLE RECENSIONI
09/09/2017
The Amazons
The Amazons
Canzoni da stadio, ritornelli da cantare tutti insieme a squarciagola, ma niente pogo, che ci si può far male: meglio qualche azzeccata melodia dal sapore post adolescenziale per mettere d’accordo tutti

C’era un tempo in cui camerette e garage erano la palestra formativa di tutti coloro che volevano esercitarsi per diventare delle rockstar. La meglio gioventù rockettara se ne stava chiusa lì a strimpellare, a modellare un suono, a sudare sugli strumenti per vedere di riuscire a grattar via un po' di quella polvere di stelle, che significava un contratto discografico, fama, denaro e, soprattutto, la possibilità di realizzare i propri sogni. Le speranze di emergere e di farsi notare erano ridotte all’osso, e solitamente si concretizzavano in serate mal pagate in localini malfamati e nel passaparola di quanti avevano assistito ai live. Oggi, il mondo è cambiato, in meglio o in peggio non sta a noi dirlo, e il garage delle nuove generazioni si chiama Youtube. La tecnologia ha sostituito l’artigianato: un video carino, mezza canzone azzeccata, un po' di hype e il gioco è fatto. Visualizzazioni, like e condivisioni sono tutto ciò che è necessario per sfondare, con buona pace dei vicini di casa che non si incazzano più per il volume troppo alto delle chitarre e di quei giovani che un tempo si facevano venire le vesciche alle mani, per riuscire a suonare alla perfezione un giro di do. Così, ci sono gruppi (gli antesignani furono gli Arctic Monkeys) che non hanno bisogno nemmeno di registrare un disco, per sfondare: bastano un paio di video ben cliccati e il risultato sperato è raggiunto. Questa è più o meno la gavetta degli Amazons, che si sono formati a Reading, Berkshire, nel 2014, e che in tre anni si sono fatti notare solo a colpi di singoli e di video, tanto che sia la BBC che MTV da tempo ne parlano come della new sensation del 2017. Di questo disco, il primo sulla lunga distanza, si sapeva già tutto prima della sua uscita, perché in realtà non è altro che una raccolta dei singoli già pubblicati nel corso della breve carriera della band. Messo nel lettore, il cd suona, quindi, come una sorta di best of di canoni che avevamo già orecchiato in precedenza. La produzione di Catherine Marks (già alle prese con Killers, Foals e Local Natives) riesce a dare omogeneità all’assemblaggio e questa è una delle note positive di un disco che, però, si perde nella terra di mezzo popolata da quella musica che, per quanto carica di hype, finisce per essere sostanzialmente inutile. Gli Amazons sfoderano, infatti, un repertorio di brani power pop, gonfi di riff rumorosi ma innocui, e di tastieroni un po' retrò che saturano il suono: una via di mezzo fra i Killers e i Royal Blood, in cui i primi fanno la parte del leone.  Non lasciatevi, quindi, ingannare dalle fiamme in copertina. L’incendio evoca una molotov, ma è solo uno specchietto per le allodole per coloro che hanno comprato il disco senza prima sapere chi fossero gli Amazons e ora si ritrovano con il cerino in mano. Spento, per giunta. Canzoni da stadio, ritornelli da cantare tutti insieme a squarciagola, ma niente pogo, che ci si può far male: meglio qualche azzeccata melodia dal sapore post adolescenziale per mettere d’accordo tutti, i finti cattivi e i fighetti da sushi bar. Il disco, badate bene, non è pessimo e ascoltato a un volume importante possiede una discreta resa. Il gioco, però, finisce dopo un paio di ascolti, quando anche un sordo capirebbe che per fare le cose per bene gli Amazons dovrebbero rotolarsi in un po' di sana sporcizia. E passare un po' più di tempo in garage.