Quando si chiamano in causa Can, Sun- Ra, Broadcast, Stereolab e Jean Claude Vannier allora forse è giusto iniziare a considerare l’opportunità di trovarci davanti ad un album importante.
The Age Of Immunology è prima di tutto un libro dell’antropologo statunitense A. David Napier pubblicato nel 2003, il cui focus è l’analisi del processo partito dall'ipotesi in ambito medico che possiamo sopravvivere solo eliminando il "non sé” e di come si sia diffuso drammaticamente verso l'esterno, corrompendo ogni cosa.
È anche il titolo del secondo album per Vanishing Twin, accuratamente scelto per descrivere appieno il momento che stiamo vivendo, costituito appunto, dall’esaltazioni dei confini e da delimitazioni ideologiche oltre che sociali.
In totale antitesi con tutto questo e quindi a dare forza ad una alternativa, il fatto che la band inglese sia formata da componenti che provengono dall’Italia, dal Belgio, dal Giappone e dagli USA.
L’album, cantato in tutte le lingue primarie dei musicisti, diventa così una sorta di manifesto di chi ancora crede in una società pluralista, che contrappone creatività e condivisione all’isolamento e all’annullamento.
Vanishing Twin si formano nel 2015 e il loro nome si riferisce al riassorbimento fetale del gemello della cantante e polistrumentista Cathy Lucas, durante la gravidanza.
Oltre a lei (già Fanfarlo e My Sad Captains) completano il collettivo la batterista Valentina Magaletti, il bassista Susumu Mukai, il chitarrista e tastierista Phil MFU e il cineasta visivo Elliott Arndt con flauto e percussioni.
Dopo il bel debutto “Choose Your Own Adventure” pubblicato su Soundway nel 2016, è uscito l’astratto e per lo più strumentale EP “Dream By Numbers” nel 2017.
Ma è con la cassetta “Magic And Machines” dello scorso anno che hanno creato la base per “The Age Of Immunology”.
Questo infatti è un lavoro fortemente delineato da scrittura e registrazione ispirate dalla meditazione, dall’ascolto profondo e dall’improvvisazione.
È infatti forte la sensazione di libertà, artistica ma non solo che si concretizza attraverso composizioni e registrazioni non ortodosse, non regolamentate secondo le classiche impostazioni di studio.
Così la registrazione di un live con un iPhone sull’omonima isola croata diventa “KRK (At Home In Strange Places)”
Apre il disco riuscendo a riesumare lo spirito dello Sun Ra di Lanquidity mischiandolo la band della indimenticabile Trish Keeenan con il loro mini ep “Broadcast and the Focus Group investigate The Witch Cults Of Radio”.
È un brano che fluttua e ammalia, l’inizio di un viaggio che è già eccitante.
Le registrazioni nelle sessioni notturne in un mulino abbandonato a Sudbury si concretizzano nella melodia lounge di morriconiana memoria che plasma “You Are Not an Island”, ma anche nell’arrangiamento in stile Jean-Claude Vannier di “Invisible World” con echi acustici, archi e una voce che sussurra e scivola lentamente nella psichedelia.
E infine nel burroso funk fantascientifico tributo ad un'animazione francese del 1973 disegnato da Roland Topor che l'ha sceneggiato assieme al regista René Laloux, “Planète Sauvage”.
Un omaggio non casuale, in quanto uno dei primi esempi di film in cui viene introdotto il tema dell’antispecismo rovesciando la classica prospettiva secondo la quale la nostra specie sarebbe la più evoluta, e quindi la più importante, di tutte.
Il krautrock emerge nettamente in “Backstroke” che risulta tra i brani più significativi dell’album, tra reminiscenza Mitteleuropee e avanguardia, tamburi digitali, fiati e glockenspiel.
In “Wise Children” emerge da uno stagno di Flanger una nenia dolce e lisergica, in cui un synth acido si inserisce aderendo.
Ancora reminescenze teutoniche ma stavolta miste a immaginari mediorientali costituiscono “Chronic Suspension May Save Your life”.
Il brano che riprende il titolo del disco, è un intermezzo recitato in giapponese e si muove liquido e misterioso.
Si apre come un risveglio invece il primo singolo dell’album, quella “Magician’ Success” in cui davvero solo la voce della Lucas ci fa capire di non trovarci davanti ad un inedito di Stereolab.
È un brano circolare, un pop raffinato e sixties, lounge e retrofuturistico che davvero ha quel potere mai banale di colpire al primo ascolto.
Non può che essere “Language Is A City (Let Me Out!) la canzone che chiude il disco: evasioni tropicaliste, innescate da un Theremin e il kraut che non si stacca, un ritmo che è un insieme di cose apparentemente distanti, che si allacciano e si completano.
È nell’armonia del contrasto tra la serietà del concetto che sta al centro di The Age of Immunology e il modo con cui viene espresso attraverso l’estetica della band tra Dada e Bauhaus, la chiave della bellezza di questo album.
Un lavoro inclusivo, che accoglie e distribuisce influenze assieme alle proprie identità.
Plurale, è importante.