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REVIEWSLE RECENSIONI
15/09/2020
Kansas
The Absence Of Presence
Il secondo disco in quattro anni per i redivivi Kansas, che mostrano brillantezza e una ritrovata ispirazione

Sono passati quasi quarantacinque anni dall’uscita di Leftoverture, capolavoro AOR datato 1976, che lanciò definitivamente i Kansas nell’Empireo del rock radiofonico, grazie anche a quell’immortale tormentone dal titolo Carry On Wayward Son. In questo lungo lasso di tempo, tante cose sono cambiate, sia a livello di ispirazione (tra alti e bassi, questi ultimi sono stati più numerosi) che di line up (se ne sono andati Steve Walsh e Kerry Livgren, avvicendati da Ronnie Platt alla voce, l’ottimo Zak Rizvi alla chitarra e da ultimo Tom Brislin, tastierista già alla corte degli Yes).

Affacciatisi al nuovo millennio (con l’album Somewhere To Elsewhere del 2000) i Kansas sono praticamente spariti e, a parte qualche live e un paio di best of, non hanno più dato notizie di loro. Un silenzio durato fino The Prelude Implicit (2016), che arrivò come una sorta di fulmine a ciel sereno, l’inaspettata sorpresa di una band che stava ormai lambendo i confini dell’oblio e che probabilmente in molti davano per morta e sepolta. Un’uscita importante, dunque, perché ci ha restituito un gruppo che, contro ogni pronostico, si riproponeva sul mercato con una prova decisamente gagliarda.

La stessa cosa si può affermare di questo nuovo The Absent Of Presence: l’impressione, infatti, è che i nuovi arrivati abbiano dato una sferzata di energia, sia sotto il profilo delle composizioni che dell’esecuzioni dei brani, tanto che, per quanto la proposta possa risultare passatista, il disco suona, per gran parte della sua durata, vivace e fresco, come, cioè, se a misurarsi col repertorio, fosse un gruppo con un’anagrafe molto meno usurata.

I Kansas il loro mestiere lo sanno fare e bene, sia quando si misurano con brani articolati e dall’impronta chiaramente progressive (l’ottima title track, Circus Of Illusion), sia quando mostrano la potenza di tiro dell’arsenale hard (Throwing Mountains), sia quando indirizzano melodia e potenza verso un irresistibile appeal radiofonico (Animals On The Roof, Jets Overhead).  Se è vero che in scaletta qualche punto debole c’è (Propulsion 1 è un riempitivo, Never una ballata fin troppo stucchevole), per converso la maggior parte delle canzoni del lotto riesce a togliere la polvere dal vecchio marchio di fabbrica, riportando a nuova vita quella curiosa miscela di progressive, pop e hard rock di cui i Kansas sono stati, per lungo tempo, tra gli interpreti più blasonati.

Un disco anacronistico, se si vuole, e appetibile quasi esclusivamente ai fan della band e agli appassionati di genere. Però, buone canzoni, ottimi arrangiamenti e un’indiscutibile tecnica individuale, fanno di The Absence Of Presence un ritorno davvero riuscito e una prova che supera agevolmente la sufficienza.  


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