Tenet sembra un videogioco, nella sua struttura, un pezzo dopo l'altro, tanti quadri da risolvere e da rigiocare più e più volte per venire a capo di una storia enigmatica, proprio come in un videogioco, è consigliata l'esperienza plurima per comprendere al meglio ciò che sta dietro al palindromo Tenet, per risolvere il quadro tentativo dopo tentativo, nello stesso spirito del film riavvolgere e far rivivere l'esperienza per modificare, se non il passato, almeno la percezione di esso. Peccato che, almeno al cinema, non sia la norma rivedere un film subito più e più volte (magari qualche appassionato che l'avrà visto a ripetizione c'è anche stato), lo si può fare in seguito, certo, può essere anche piacevole questo intrigo di costruzioni ma l'impressione di essersi persi molti dei pezzi del puzzle a fine visione rimane forte, e sì che scrive uno che ha letto i fumetti di Grant Morrison, ma qui si esagera davvero un poco. Nonostante questo appunto sia stato mosso a Nolan per diversi dei suoi ultimi film, personalmente questa è la prima volta che chi scrive non trova nessun coinvolgimento emotivo durante la visione, il gioco va bene, ragionare su un film anche, ma se non c'è nessun appiglio emotivo, non ci sono temi realmente interessanti se non elucubrazioni su tecnica cinematografica e futuro appannaggio più degli addetti ai lavori, se non c'è cuore e nemmeno pancia, allora vale ancora la pena?
Detto questo il film lo si guarda, capito che si sta giocando si cerca di stare al gioco tentando di entrarci dentro, di per sé la visione risulta piacevole, come sempre per Nolan grande perizia tecnica (che perde probabilmente molto su schermo domestico) e un effetto realmente straniante nei momenti in cui il film presenta l'inversione dell'entropia, se già con Inception Nolan aveva messo in scena effetti speciali davvero avvolgenti e capaci di colpire l'immaginario, qui il connubio tra tesi, immagini e musica inquieta, i movimenti fuori fase dei protagonisti risultano innaturali in maniera convincente, cosa non da poco, regalando qualche sensazione che, con i dovuti distinguo, richiama in parte qualche movimento adottato da Lynch per straniare il pubblico (ma in questo Lynch è un maestro, Nolan almeno per ora no); a differenza di altri che hanno criticato le musiche di Goransson ho trovato invece molto adatto lo score musicale, capace di sottolineare bene i momenti innaturali della vicenda. Interessanti tutti i rimandi al quadrato del Sator, antica iscrizione in quadro palindromo che risale all'antichità e formata da cinque parole che ricorrono nel film purtroppo senza grandi riferimenti e spiegazioni se non per il fatto del doppio senso di lettura che richiama il doppio senso di svolgimento del tempo. A vivere e rivivere l'avventura scritta dallo stesso regista nel ruolo del protagonista senza nome c'è John David Washington, affascinante quando serve, atletico e dinamico ma espressivo quanto un Clint d'annata (che tanto quanto aveva il cappello), comunque funzionale, e un Robert Pattinson convincente ai quali si aggiungono Elizabeth Debicki e il cattivo da fumettaccio di serie b interpretato da Kenneth Branagh.
Ora dovrei parlarvi della trama del film ma questo lo farò quando finalmente riuscirò a venirne a capo. Quando sarà, mi infilerò in un tornello con un respiratore sul muso e uccidendo decine di ignari passanti tornerò qui per raccontarvela facendo ben attenzione a non entrare in contatto con il me stesso presente. O futuro. O passato. Non lo so, non ci ho capito ancora nulla.