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REVIEWSLE RECENSIONI
25/11/2020
King Hannah
Tell Me Your Mind And I'll Tell You Mine
Per descrivere la loro musica sono stati utilizzati diversi riferimenti, dai Mazzy Star ai Galaxies 500, mentre Hannah è stata paragonata ora a Lana Del Rey, ora a Pj Harvey o a Julia Stone. Non sono riferimenti campati in aria...

La storia di come è nato tutto la raccontano loro stessi. Il chitarrista Craig White avrebbe visto Hannah Merrick esibirsi qualche anno prima, ne era rimasto notevolmente impressionato ma poi, per un motivo o per l'altro, non era andato a presentarsi e la cosa era finita lì. 

Si sono ritrovati diverso tempo dopo a sgobbare nello stesso bar, il classico lavoro temporaneo in attesa che la propria carriera musicale subisse la tanto sospirata svolta. Ci è voluto ancora un anno, perché mentre Craig cercava di convincerla a formare una band, lei si dimostrava decisamente timida e non aveva il coraggio di fargli sentire nulla di quanto avesse composto. Alla fine ogni resistenza è stata vinta, hanno scritto il loro primo pezzo assieme e si è scoperto che l'intesa era sempre stata lì, che aveva semplicemente bisogno di un detonatore. 

“Si tratta solo di trovare le persone giuste - ha detto Hannah in proposito - quando sono andata da Craig con un testo e qualche accordo, lui ha fatto il resto. Non so dove saremmo adesso, se non ci fossimo incontrati”. 

“Creme Brûlée”, il loro primo singolo, è fuori da settembre ed è una di quelle cose che ti lasciano senza parole, a domandarti da dove diavolo arrivino questi qui. Vengono da Liverpool, città che ci hanno tenuto a mostrare nei due video realizzati finora (nel pezzo già citato ci sono degli scorci di desolata periferia in bianco e nero mentre quello di “Meal Deal” è girato all’interno del Playhouse Theater poco prima di un ipotetico concerto, e il modo in cui Hannah canta davanti allo specchio del camerino è denso di lynchiana inquietudine). Poi però vieni a sapere che la Merrick, che è cresciuta in un piccolissimo paese del Galles del nord, ha confessato, quasi si trattasse di una colpa imperdonabile, che dai 7 ai 21 anni è stata un'abbonata del Leeds. Strana cosa, vista l'importanza del carattere locale nella galassia della tifoseria calcistica dell'Inghilterra. Non è comunque il caso di approfondire il discorso, meglio parlare di musica. 

Dopo aver iniziato a scrivere insieme, i due hanno firmato un contratto con la City Slang, hanno assoldato altri tre musicisti, Ted White, Jake Lipiec e Olly Gorman, e assieme a loro hanno registrato “Tell Me Your Mind And I'll Tell You Mine”, che formalmente sarebbe un Ep ma che poi all'atto pratico dura mezz'ora, vale a dire la lunghezza media di parecchi long playing di questi tempi. 

Per descrivere la loro musica sono stati utilizzati diversi riferimenti, dai Mazzy Star ai Galaxies 500, mentre Hannah è stata paragonata ora a Lana Del Rey, ora a Pj Harvey o a Julia Stone. 

Non sono riferimenti campati in aria, li riesco a vedere anch’io che normalmente non sono in grado di fare questo giochino di rimandi e suggestioni (sempre poi che siano utili) ma credo che la cosa importante sia farsi conquistare dalla musica che il duo è stato in grado di produrre. 

Le canzoni di questo Ep colpiscono infatti per la potenza e il magnetismo sprigionato, prima ancora di ogni rassomiglianza: la voce di Hannah, profonda e carismatica e il tocco chitarristico di Craig, che è cresciuto ascoltando i dischi di Jackson Browne dal fratello maggiore, si sono qui integrati alla perfezione e costituiscono i due elementi cruciali nel plasmare il sound di questo act. 

È un lavoro che ruota attorno ai due singoli, entrambi di lunghezza elevata, che insieme rappresentano in pratica la metà dell'intero minutaggio. Due tracce scure, tra un Country crepuscolare e il Dream Pop più umbratile, “Meal Deal” parte acustica, con la voce a stagliarsi dimessa e allo stesso tempo drammaticamente autorevole, quasi a dettare un comandamento segreto. C’è un feeling spettrale, quasi senza via d'uscita, poi entrano basso e batteria e il senso di soffocamento diventa paradossalmente maggiore. Qui l'elettrica graffia già tra una strofa e l'altra ma nel finale sale in cattedra con un lungo solo di tre note, ripetute in crescendo. Tocco sopraffino, atmosfera psichedelica in stile Dream Syndicate, tutto davvero bellissimo. 

“Crème Brûlée” funziona più o meno allo stesso modo anche se è più lenta e ipnotica, vede l'utilizzo di echi e riverberi, con la quiete notturna anche qui squassata da una chitarra che entra come una lama e detta i tempi dei minuti finali. 

Basterebbero queste due tracce perché è qui che l'alchimia tra i due si rende più evidente e raggiunge i risultati migliori; il resto è di ottimo livello ma leggermente inferiore, a partire da “And Then Out of Nowhere, It Rained”, che è un semplice bozzetto introduttivo, con la chitarra acustica che ricama pochi accordi, sormontata pian piano da un Synth che cresce come una marea e arriva quasi a coprire la voce, prima di sfumare nella già citata “Meal Deal” e aprire veramente le danze. 

“Bill Tench” è costruita più o meno con gli stessi ingredienti, è più Up Tempo, c'è sempre una bellissima parte di chitarra e in generale è il brano dove le influenze “americane” dei nostri escono fuori di più. 

Interessante anche “The Sea Has Stretch Marks”, che ricorda invece più da vicino i Beach House, soprattutto quelli più scarni dell’ultimo disco. Si gioca più sulle sensazioni generali e la voce è evidentemente il punto focale attorno a cui ruota tutto. Meno convincente invece la conclusiva “Reprise (Moving Day)”, che è costruita un po’ come se fosse un brano Post Rock, con tanto di muro di suono e voci di sottofondo, prima che il tutto svanisca e sia sempre Hannah, accompagnata da una spoglia chitarra acustica, a salmodiare gli ultimi versi. Più sperimentale nelle intenzioni, forse, ma a mio avviso non è la direzione in cui dovrebbero muoversi in futuro. 

In conclusione, i King Hannah hanno dalla loro soprattutto il talento naturale di due musicisti che si sono casualmente trovati, sviluppando una sintonia immediata e fuori dal comune. Sulla scrittura dei pezzi, fossero stati tutti come i due singoli, parleremmo già di qualcosa di inaudito. La verità è che il livello è alto ma che alcune cose vanno limate e perfezionate. Anche così, comunque, siamo al cospetto di un lavoro di cui mi pare legittimo essere entusiasti. Non credo che l’anno prossimo avremo i concerti  ma, nel caso, il duo di Liverpool sarebbe perfetto per essere la classica next big thing in ogni line up di ogni festival che conti qualcosa. 


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