Quando nell’aprile 2016 Apple ha rilasciato un annuncio pubblicitario per promuovere Apple Music, il video vedeva Taylor Swift ballare e fare lip-sync sulle note di “The Middle” dei Jimmy Eat World. Ben pochi avrebbero scommesso che quel preciso momento avrebbe sancito la rinascita artistica e commerciale della band di Mesa, Arizona. Infatti, nei giorni successivi, mentre sui social si dibatteva se al liceo Tay Tay fosse stata effettivamente una fan della band di Jim Adkins, “The Middle” saliva alla posizione n. 32 della iTunes Top Songs Chart, su Spotify la canzone toccava quasi 280 milioni di stream e Pandora aumentava del 325% la trasmissione della musica dei Jimmy Eat World.
Ovviamente tutto questo non sarebbe bastato se non fosse arrivato un disco come Integrity Blues, uscito nell’ottobre dello stesso anno. Un lavoro solido e centrato, che ha finalmente riconsegnato Jim Adkins, Zach Lind, Tom Linton e Rick Burch ai fasti di album come Clarity, Bleed America e Futures, mettendo fine a un periodo di stagnazione creativa durato qualche album di troppo.
Per Integrity Blues i Jimmy Eat World avevano lavorato con Justin Meldal-Johnsen (Paramore, M83, Wolf Alice, Tegan and Sara), già bassista di Beck e dei Nine Inch Nails (e un giorno bisognerà indagare sul perché dalla band di Beck escano continuamente produttori di successo, vedi anche Greg Kurstin, vero Re Mida del Pop di questi anni Dieci), il quale aveva dato alla formazione originaria dell’Arizona un sound fresco e contemporaneo, che da un lato guardava alla forma-canzone e a dischi storici come Bleed America, e dall’altro assecondava il lato sperimentale che Adkins & Co. hanno sempre avuto nel DNA ma che nel corso degli anni si era perso, in favore di un manierismo e un rigore formale eccessivi.
Visti gli ottimi riscontri, per Surviving i Jimmy Eat World hanno lavorato ancora con lo stesso team, confermando sia Meldal-Johnsen alla produzione sia Ken Andrews dei Failure al bancone del mix. Il risultato è un album che ha molto in comune con il suo predecessore, ma allo stesso tempo non ha paura a spingersi ancora una volta in avanti verso nuove direzioni. Ovviamente gli argomenti tanto cari a Adkins & Co. come la depressione, il recupero dall’abuso di alcol e l’accettazione di sé sono sempre ben presenti all’interno dei loro testi, ma nell’aria c’è comunque un senso di ritrovata libertà e la volontà di lasciarsi tutto alle spalle, come se il disco fosse una sorta di grande seduta terapeutica alla fine della quale sentirsi finalmente leggeri.
Questo si percepisce perfettamente nelle 10 canzoni che compongono Surviving (che, con i suoi 36 minuti, è l’album più breve della band), nelle quali convivono alla perfezione tutte le anime dei Jimmy Eat World, spesso anche all’interno dello stesso brano. Accanto a pezzi più canonici, dove le chitarre sono in primo piano, come la title track, “Criminal Energy” e “Love Never”, non mancano brani leggermente fuori dagli schemi, che partono in una maniera per poi deviare improvvisamente. “One Mil” inizia in chiave acustica per aprirsi in un ritornello sostenuto da un interessante gioco di chitarre armonizzate del quale Tom Morello sarebbe fiero. E ancora “All the Way (Stay)”, che, assieme ai cori della ritrovata Rachel Haden (il cui contributo vocale si è rivelato determinante per la riuscita di Bleed America), regala un assolo finale di sassofono davvero inaspettato. Forse però la sorpresa più grande è “555”, un brano Elettro Pop a tutti gli effetti, nel quale la band per la prima volta gioca con la Roland TR-808.
Il disco si chiude con “Congratulations”, il pezzo più pesante del lotto, un vero e proprio schiaffo in faccia emotivo, tra chitarre taglienti, fantasmi di Elettronica, turbolenze emotive e un cameo vocale di Davey Havok degli AFI. Un finale catartico per un album che è senza dubbio uno dei picchi di una carriera ormai lunga 25 anni.