Sono passati ben sette anni da Solas (2016), ultimo album in studio dei nordirlandesi The Answer, e quasi ci stava dimenticando di questa onesta band, che ha fatto del rock (hard) anni ’70 il centro di gravità permanente della propria proposta musicale. Finalmente, sono tornati, ed è un vero piacere rincontrarli così in forma. D’altra parte, se è vero che alcune band si sforzano così tanto per recuperare l'autenticità, l’immaginario e lo spirito degli anni '70, producendo spesso l'effetto opposto, gli Answer hanno dalla loro parte un sostanziosa dose di veracità, perché quel suono scorre nelle loro vene e sono motivati, niente di più e niente di meno, da un amore puro e profondo per quella musica dal sapore antico. Non fingono, e questo li innalza di categoria.
Il quartetto nordirlandese, come dicevamo, si è preso un lungo iato, ha fatto un passo indietro per resettarsi, curare il proprio benessere mentale, fisico e creativo, ritrovare l’ispirazione. La pausa ha evidentemente prodotto un effetto rigenerante, perché Sundowners è una gioiosa esplosione di groove irrequieti, riff graffianti, Hammond caldo e armonizzazioni vocali perfettamente calibrate per fare da contraltare al timbro grintoso e roco del frontman, Cormac Neeson.
I riferimenti stilistici emergono chiaramente nelle undici canzoni in scaletta, eppure non puzzano di mero plagio ma si adattano perfettamente al mood ispirato ed esuberante del disco. "Cold Heart", ad esempio, potrebbe provenire direttamente dal catalogo dei Free, e quindi, per filiazione, richiamare alla mente gli Ac/Dc: andamento caracollante, riff abrasivo e la voce che trasuda sentimento di Neeson, il cui timbro si è fatto, nel tempo, ancora più espressivo. Anche "All Together" si muove in questa direzione, mentre il mid tempo di "No Salvation" fa venire subito in mente i Black Crowes. Citazioni sparse e ben dosate, che non inficiano in alcun modo il tiro sincero di una scaletta intensa e pimpante, che annovera molti momenti davvero ispirati.
La ritmica martellante, il riff sfacciato e la sensazione di polvere svolazzante, ad esempio, rendono "Oh Cherry" sfrontatamente libidinosa, mentre il blues paludoso della title track (tra le migliori del lotto) si muove attraverso una ritmica ipnotica, sciamanica, sorretta da un drumming tribale e da una linea di basso minacciosa, scartavetrata da feroci scosse di elettricità. E se "Blood Brother" suona sorniona e cadenzata come un brano dei Black Keys, "California Rust" parte sgommando su un riff acidulo e ansiogeno, per aprirsi poi a sensazioni gospel.
Sundowners esplicita la solidità di suono di una band non ha nulla da dimostrare a se stessa o a chiunque altro, che non ha intenzione di inventare qualcosa di nuovo, ma cerca solo, riuscendoci, di trasmettere un’emozione, un sentimento crudo e nudo che è semplice passione per il rock’n’roll. Ed è per questo che gli Answer possono sedersi alla stessa tavola delle migliori rock blues band in circolazione, perché possiedono quell’istinto che viene dal cuore e quella sincerità, che rende credibile anche la citazione più smaccata. Ottimo ritorno.