Il guardacaccia Gaël Leuven era un marcantonio solido come uno scoglio bretone, ma per ucciderlo sono bastate due coltellate al torace. A Louviec lo conoscevano tutti. Compreso Josselin de Chateaubriand (forse discendente di quel Chateaubriand), il nobilastro dall’abbigliamento eccentrico che adesso è il principale sospettato. Richiamato in Bretagna dal commissario locale, Adamsberg si addentra nelle numerose ramificazioni del caso. Ma, pur perdendosi come di consueto in false piste e digressioni mentali, in osservazioni prive di qualunque nesso con l’indagine, c’è da scommettere che anche questa volta verrà a capo del groviglio di omicidi ed efferatezze. Grazie alle sue illuminazioni proverbiali ma anche, forse, all’energia ancestrale dei menhir.
Personaggio controverso per alcune prese di posizione politiche controcorrente (vedi la difesa a oltranza di Cesare Battisti), Fred Vargas è considerata, ormai da quasi un trentennio, maestra indiscussa del noir d’oltralpe.
A sette anni da Il Morso Della Reclusa, la scrittrice francese torna nelle librerie con questo Sulla Pietra, il cui protagonista è nuovamente lo stralunato e svagato commissario Jean-Baptiste Adamsberg, personaggio anomalo e lontano dagli stereotipi del genere, uomo lento e riflessivo, che giunge alla risoluzioni dei casi con intuizioni geniali ben lontane dalla classica logica investigativa. Protagonista bizzarro e decisamente affascinante, garanzia di successo in termini di vendite, che però, in questo caso, sembra funzionare molto meno bene rispetto ai precedenti romanzi.
Sulla Pietra è romanzo lunghissimo, dovuto alla convivenza di due indagini che si sovrappongono intrecciandosi, e che soffre di una lentezza che rasenta spesso i confini della noia. Tutto, dalla trama all’intreccio narrativo, risulta, infatti, bolso e privo di mordente, e se le indagini parallele su un gruppo di lestofanti che spadroneggiano a Louviec, pittoresco paesino della Bretagna, sono sviluppate con discreta padronanza, risultano molto meno riusciti gli sviluppi relativi al crimine principale, quello per cui Adamsberg abbandona Parigi per coadiuvare la polizia locale, e il cui movente, come si vedrà alla fine, è un po’ tirato per i capelli.
La location d’altri tempi è senz’altro suggestiva, così come lo sono alcune interessanti digressioni storico-artistiche (Vargas è donna di grande cultura e lavora al CNRS) di cui il romanzo è punteggiato. Eppure, l’andamento del romanzo è moscio e ripetitivo, gli snodi narrativi alternano soluzioni prevedibili, ad altre totalmente improbabili, e se il linguaggio è talvolta ricercato, in altri casi, perde di spessore e mordente, abbigliandosi di una sciatteria quasi puerile.
Lascia interdetti, inoltre, la mancanza di approfondimento psicologico dei personaggi (i quali sono per buona metà libro intenti a mangiare e bere), tanto che anche Adamsberg risulta una figura sfumata e di contorno.
L’impressione finale è che la Vargas, sulle cui capacità non si discute, abbia voluto mettere troppa carne al fuoco, dimenticandosi però la consueta attenzione alla cottura. Il risultato è tanto fumo e niente arrosto, un epilogo, purtroppo, di cui anche i più affezionati commensali della scrittrice francese saranno, in definitiva, ben poco soddisfatti.