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REVIEWSLE RECENSIONI
24/05/2019
Ponzio Pilates
Sukate
Dal punto di vista prettamente musicale, i romagnoli Ponzio Pilates potrebbero essere facilmente assimilati a tutti quei gruppi che hanno il proprio focus nella componente strumentale, in bilico tra tecnicismi e libera improvvisazione da Jam session.

Gente come Goat, Sons of Kemet, Comet is Coming, in Italia I Hate My Village, possono senza dubbio presi a termine di paragone per descrivere il sound del collettivo di Rimini. Afro Beat, Jazz, ritmi latini, una spruzzata di elettronica, dominano le canzoni di questo debut album (in precedenza c’era stato un ep autoprodotto, “Abiduga”, uscito nel 2016) ma c’è un ingrediente in più, che è proprio questa attitudine demenziale e particolarmente nonsense.

Lo si vede dal monicker, dal titolo dell’album, nella scelta tematica di alcuni testi, dalla dissacrante polemica antivegetariana di “Insalata”, alle mica troppo velate allusioni sessuali di “Figamalapena” e della esilarante “Cioccobiscotto”, fino al cantato in giapponese di “Watashi”. In mezzo vengono inseriti scampoli di cazzeggio da sala prove, come in “Salomone”, dove a metà brano il gruppo si interrompe, decide di togliere la chitarra dal mix e vanno avanti così, con basso e tastiera in primo piano, a suonare il tema portante.

E non dimentichiamo nemmeno le foto promozionali, dove il sestetto si presenta agghindato con variopinti ed improbabili costumi.

Tutto questo non faccia però perdere di vista il punto principale: i Ponzio Pilates suonano e suonano alla grande. È un disco prodotto benissimo (eccellente, da questo punto di vista, il lavoro svolto da Andrea Lepri e Marco Parollo), curato nei minimi dettagli ma che, allo stesso tempo, conserva tutto il carattere di giocosa libertà presente nelle varie composizioni, tutte nate da lunghe e vivaci improvvisazioni, tutte potenzialmente destinate a durare all’infinito. Da questo punto di vista, immaginiamo che la dimensione live sia ottimale per poter cogliere in pieno la sacra follia dei nostri ma allo stesso tempo questa mezz’ora in studio conserva tutto il tiro e la spontaneità di un concerto.

Le canzoni poi ci sono, si muovono appunto a cavallo tra Samba e Jazz, con l’elemento percussivo sempre in primo piano, poche parti cantate, gli incastri tra chitarre e tastiere a disegnare le melodie, qualche interessante variazione di schema, come in “Cioccobiscotto”, che si sviluppa in crescendo, a tratti in maniera imprevedibile, con un uso molto “rock” della chitarra elettrica e un finale con cassa dritta in evidenza.

“Sukate” è davvero un ottimo lavoro, divertente ed entusiasmante, che fa capire come l’utilizzo dei medesimi codici stilistici, al servizio di un gruppo che sa usare gli strumenti e pone il godimento del suonare insieme al primo posto, possa ancora produrre risultati degni di nota.

Per gli amanti delle Jam Band ma non solo, nell’attesa di riuscire a vederli dal vivo e farci un’idea definitiva.


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