Austin Durry sarebbe dovuto andare in tour coi suoi Coyote Kid, per promuovere The Skeleton Man, il disco uscito nell’ottobre precedente. È arrivata la pandemia, il tour è stato cancellato ed Austin è tornato con sua moglie a casa dei genitori a Burnsville, periferia di Minneapolis. Qui ha ritrovato sua sorella Taryn, di sette anni più giovane, che frequentava il College e, più che alla musica, era interessata al nuoto agonistico. La differenza di età faceva sì che, pur avendo grande stima del fratello, non seguisse troppo la sua carriera di musicista. L’inattività da Covid ha fatto evidentemente riavvicinare i due, tanto che ad un certo punto anche Taryn si è messa a strimpellare con la chitarra. È partito tutto nel momento in cui si è filmata su Tik Tok mentre suonava una strofa e un ritornello di “Who’s Laughing Now?”. Il video è diventato virale nel giro di pochissimo tempo e a quel punto Taryn ha chiesto al fratello un aiuto per completare il brano.
Avendo visto che funzionava, hanno prenotato uno studio e lo hanno registrato. Da qui ne sono arrivati altri nove, pubblicati tra 2021 e il febbraio di quest’anno. E a quel punto l’hype per il progetto Durry è stato definitivamente lanciato.
Suburban Legend distorce ironicamente il concetto di “leggenda metropolitana” calandolo all’interno dell’universo della periferia americana, luogo di perdenti per eccellenza, scenario privilegiato di gran parte della mitologia Rock, nonché habitat d’elezione di un certo Indie da cameretta (in questo senso non trovo molto appropriata la dichiarazione dei due fratelli secondo cui “non molte storie di successo escono dalla periferia”).
Il disco è sia una raccolta dei singoli finora pubblicati (che sono stati in parte riregistrati, da quel che mi sembra) sia un compendio di brani nuovi, e nell’insieme mantiene le aspettative e giustifica in pieno l’entusiasmo che nell’ultimo anno e mezzo si è generato attorno al duo.
Probabilmente il modo migliore per descrivere il sound dei Durry è utilizzare le parole del loro management (riportati dal gruppo stesso durante un’intervista): per quanto inspessito dalle chitarre distorte e da una sezione ritmica particolarmente robusta, il loro sarebbe fondamentalmente Country Rock dei più classici. Può sembrare esagerato e probabilmente un po’ lo è, ma è molto difficile non sentire pulsare quasi un secolo di tradizione americana nei solchi di queste canzoni. Austin e Taryn conoscono le basi e sono in grado di riaggiornare in continuazione la materia prima, e scrivono talmente bene da non risultare manieristi e da farsi perdonare la loro evidente componente derivativa.
“Coming of Age” e “Who’s Laughing Now”, già conosciute e poste in apertura una dopo l’altra, fungono da biglietto da visita e spazzano via l’ascoltatore con le loro bordate elettriche e le melodie da cantare a squarciagola.
Canzoniere “loser” per eccellenza e allo stesso tempo manifesto di un Indie Rock nel suo valore più autentico, Suburban Legend fa rivivere lo spirito dei Replacements (anche loro di Minneapolis, tra l’altro) ben presente in brani come “I’m Fine (No Really)”, “Losers Club” e soprattutto “Drama Queen” (il pezzo migliore del disco per distacco), carichi di un’urgente voglia di rivalsa; altrove (“Worse for Wear”, “Little Bit Lonely”) si avverte una maggiore autoironia ed un giocare sullo stereotipo della provincia, raccontata tuttavia per mezzo di canzoni calde e piene di colori. Il finale di “Encore”, con tanto di pubblico che scandisce “one more song!” sembra prefigurare (anche qui in modo ironico?) un successo che, se le cose andranno nel verso giusto, sembra destinato ad arrivare.
I Durry non cambieranno la storia del rock ma hanno una freschezza ed un talento nell’unire tiro e melodia che non sono poi così comuni tra le band che si cimentano con questo genere di proposte.
Le premesse ci sono. Come sempre, occorrerà aspettare qualche anno per sapere se ci abbiamo preso oppure no.