Ritorno non semplice per i Duffer Brothers e per la loro Stranger Things, rimasta ferma quasi tre anni causa pandemia, che ora si ripresenta al pubblico dovendo far fronte allo scollamento tra il passare del tempo nella finzione (circa otto mesi dagli eventi della serie precedente) e la crescita dei protagonisti, che alla loro età diventa difficile da camuffare. Questa diventa molto evidente soprattutto per alcuni di loro, in particolare per Caleb McLaughlin, che interpreta Lucas, e per Finn Wolfhard, volto di Mike Wheeler. Nonostante ciò, l'affetto del pubblico è palpabile e anche questa stagione ha avuto un grandissimo successo, attestandosi come una delle più viste di sempre in casa Netflix.
Per molti versi la struttura di questa quarta stagione segue quanto già intravisto nella precedente e ne amplifica le modalità, riuscendo a giocare con diversi fili narrativi e riallacciandoli agli eventi della prima stagione. Non tutte le narrazioni secondarie vengono chiuse o sviluppate totalmente, ma molto viene spiegato sul varco tra la realtà e il sottosopra e si prepara il terreno per quella che è già stata annunciata come la stagione finale, per la quale si prevedono scenari decisamente differenti rispetto a quelli (in qualche modo reiterati) visti finora.
Stranger Things 4 porta avanti una narrazione che si concentra su gruppi limitati di protagonisti, seguendo anche la separazione dei personaggi vista sul finire della stagione precedente. La scelta, se vogliamo anche inevitabile, sacrifica alcune dinamiche interessanti, come il rapporto padre/figlia tra Hopper (David Harbour) e Undi (Millie Bobby Brown), che vediamo riaccendersi solo in una scena, o quello tra Jonathan (Charlie Heaton) e Nancy (Natalia Dyer), operanti in due gruppi e due location differenti.
Fortunatamente prosegue la bromance fatta di grande amicizia, rispetto reciproco e idiozia nata già in passato tra Steve Harrington (Joe Keery) e Dustin Henderson (Gaten Matarazzo), la coppia più funzionale, meglio riuscita e più adorabile dell'intera serie. Vengono inoltre introdotti nuovi personaggi, uno al quale il pubblico pare essersi affezionato fin da subito, il nerd, metallaro e ghettizzato dalla comunità di Hawkins Eddie Munson (Joseph Quinn), l'inutile Argyle (Eduardo Franco), un fattone amico di un Jonathan Byers molto dedito alle droghe leggere da quando si è trasferito in California, e i russi Yuri (Nikola Djuricko) e Enzo (Dmitri Antonov).
I protagonisti, almeno quelli che stanno un po' più sotto i riflettori, continuano ad essere ben scritti: sempre più tosta la caparbia Nancy, che diventa un po' il motore della squadra d'azione, anche se le note migliori arrivano dal velato (ma non troppo) coming out di Will (Noah Schnapp), che si sente sempre più messo da parte nel gruppo, soprattutto in virtù del crescente legame tra il suo amico del cuore Mike e Undi. Il suo monologo va a siglare una delle scene più toccanti dell'intera stagione, dall'evoluzione e dalla nuova centralità pianificata per il personaggio di Max, interpretato da una Sadie Sink sempre più convincente, per la quale si escogita un particolare legame con il brano "Running up that hill" di Kate Bush, che ha rilanciato il pezzo creando un fenomeno di ritorno dalle proporzioni smisurate. Il brano è tra l'altro utilizzato non solo in soundtrack, ma come vera e propria parte integrante della trama; vedremo se la cosa si ripeterà anche con "Master of puppets" dei Metallica.
Non tutto è perfetto, la sottotrama dedicata a Hopper, alla sua sparizione e alla sua comparsa in Russia sembra tirata un po' per i capelli e anche tutto sommato inutile; sarebbe stato più appagante vederlo coinvolto negli avvenimenti di Hawkins. Per la prima volta la serie presenta un villain molto identificabile, con un suo background, sempre legato al sottosopra, e che ha la caratura da classica nemesi, oltremodo pericolosa e capace di dare al tutto un epilogo decisamente tragico, almeno per qualcuno dei protagonisti.
Tra le righe si legge la difficoltà di stare al mondo, a prescindere dagli eventi sovrannaturali, per un gruppo di ragazzi ognuno con le sue turbe, più o meno gravi, capaci di rendere l'adolescenza (e in generale la giovinezza) un vero inferno. Lucas è stanco di sentirsi un escluso, un perdente, e si avvicina al classico gruppetto di sportivi nocivi da teen movie americano. Max, il personaggio meglio sviluppato, elabora la morte di un fratello, una situazione familiare difficile, i sensi di colpa di un'età dove tutto è amplificato. Undi e Mike (un po' accessori in questa stagione se non per il finale) sono alle prese con le loro beghe d'amore e Will con il tormento della sua condizione.
Molti gli spunti, alcune soluzioni magari non convincono fino in fondo (sospensione dell'incredulità, please) ma tra personaggi indovinati, citazioni d'epoca, passaggi coinvolgenti e sì, anche "Running up that hill", alla fine se si sono apprezzate le stagioni precedenti e se ci si è affezionati ai personaggi, anche questa quarta stagione, molto corposa nel minutaggio, non deluderà.
Ora, svelati alcuni dei legami con l'altra dimensione, non resta che capire cos'è questo sottosopra, con il quale gli abitanti di Hawkins dovranno presto fare i conti. Speriamo non si debba attendere di nuovo un tempo indefinito prima di vedere la conclusione di una delle serie più sfiziose degli ultimi anni.