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MAKING MOVIESAL CINEMA
Sto pensando di finirla qui
Charlie Kaufman
2020  (Netflix)
DRAMMATICO THRILLER
all MAKING MOVIES
07/10/2020
Charlie Kaufman
Sto pensando di finirla qui
Cosa sto guardando? Sto pensando di finirla qui. E non è la risposta, è la sensazione che si ha nel cercare risposte e certezze, e sembra l'opposto di quello che viene da fare in quei titoli di coda che Netflix non taglia: vorrei ri-premere play, vorrei ricominciare da capo...

Sto pensando a Sto pensando di finirla qui. 
Il film.
Forse è troppo per me.
Forse non ero preparata, non ero pronta.
Cosa sto vedendo?
Non faccio che pensarci.
Non faccio che ascoltare i pensieri di Lucy, di Louisa, di Ems, interrotti da Jake e sto pensando che Charlie Kaufman è riuscito a spingersi oltre.
Lo ha fatto partendo da un romanzo.
Cosa strana, per lui.
Cosa che lo aveva messo in crisi quella volta che doveva adattare Il Ladro di Orchidee e se n'è uscito con il meraviglioso meta-cinematografico Adaption in cui un doppio Nicolas Cage interpretava proprio lui, Charlie Kaufman, alle prese con l'adattamento del romanzo Il ladro di orchidee e riusciva ad essere credibile e stupefacente.
Qui, Charlie, non sembra essere andato in crisi.
Sembra essere andato per la sua strada, complice il fatto di essere pure regista, ormai maturo, alla terza esperienza.

Prende il romanzo di Ian Reid, e parla di un ragazzo e di una ragazza, di lei che vorrebbe farla finita, e di lui che intuisce i suoi pensieri.
Forse.
Sono in macchina, fuori nevica, sono diretti alla fattoria dei genitori di lui.
Una fattoria con gli animali felici e gli animali morti, con storie tetre e scantinati spaventosi.
Una fattoria che sembra inabitata.
E che sembra vissuta più del dovuto.
Da due genitori opprimenti che mettono continuamente in ridicolo Jake.
Lucy, o Lousie, o Ems, insomma, la ragazza di Jake, invece un po' si spaventa, un po' si tormenta.
Sta pensando di finirla qui.
E lo sta pensando da così tanto tempo che il dubbio che non passi mai all'azione viene.
Cambia abiti, cambia il tempo, ma non cambia idea.
Però non la fa finita.
In quella fattoria il tempo, le fotografie e piccole frasi sembrano voler dire altro, sembrano indizi per essere la chiave di lettura.

Sto pensando di finirla qui.
Perché forse l'ho capito: Sto pensando di finirla qui, nonostante le digressioni, i probabili enigmi, i bivi e le strade chiuse, la riflessione sembra di quelle belle, poetiche e profonde, su identità e tempo che passa.
Mi sbaglio?
Può essere.
Perché poi Sto pensando di finirla qui riprende la strada, nel mezzo di una tormenta, e cambia ancora.
La pausa gelato fa nuovamente salire i brividi, la fermata in una scuola il batticuore.
Che succede?
Che fa, Kaufman, si dà al musical?
Mi conosce così bene che dopo avermi indirettamente dedicato Anomalisa contamina il suo film parlando di David Foster Wallace (e di Mussolini e dei suoi treni, di Cassavetes e dei suoi film, di Zemeckis e di un film che non esiste) e mette in scena un vero e proprio balletto che sembra omaggiare il finale strepitoso di La La Land?

Cosa sto guardando?
Sto pensando di finirla qui.
E non è la risposta, è la sensazione che si ha nel cercare risposte e certezze, e sembra l'opposto di quello che viene da fare in quei titoli di coda che Netflix non taglia: vorrei ri-premere play, vorrei ricominciare da capo, vorrei leggere meglio gli indizi, ascoltare con più attenzione le lunghe conversazioni, osservare meglio quella fattoria che ha il mio stesso quadro di un viandante nella nebbia appeso alle pareti. Vorrei capire chi è quella ragazza con i suoi tanti nomi, con i suoi innumerevoli passati, chi è Jake soprattutto, che non sembrava il protagonista e invece lo è.
O lo è quel bidello?
Che lentamente pulisce la scuola, osserva prove teatrali, osserva coppie in un parcheggio.
O lo sono entrambi?

Fra le tante parole, fra i tanti cambiamenti, ci si perde.
Ci si perde dentro quella fattoria dalle carte da parati da invidia, ma sinistra, che fa sembrare Sto penando di finirla qui un thriller dalle venature horror, con misteri e la demenza senile a rendere più terrificante il viaggio ad andare a conoscere i "suoceri".
Ci si perde nella bravura di una Jessie Buckley esteticamente non accessibile -nemmeno per Jake, sembra- ma che illumina la scena con la sua bravura e che mette volutamente in ombra un volutamente dimesso Jesse Plemons.
Lei che pensa, che ha paura, che cambia e che non si decide.

Sto pensando di finirla qui, di non essere la persona adatta né per parlare di questo film né per rivederlo.
E se mi delude?
Pensavo prima di iniziarlo.
E se non lo capisco?
Pensavo mentre lo vedevo.
E se non l'ho capito?
Ho pensato una volta finito.
Probabilmente, no, non l'ho capito.
Non del tutto, almeno.
Cervellotico ma come sempre, ancora una volta, malinconico.
Nel suo ennesimo viaggio nella mente, nell'inconscio di una persona, Kaufman si è fatto più criptico e più inaccessibile. Non c'è nessun John Malkovich ma sembra ci sia Lynch di mezzo a questo giro.
Ha aumentato i livelli di difficoltà, con discorsi e digressioni che coprono ogni tipo di argomento, ironizzando pesantemente sul politically correct e riuscendo a far ripensare a una canzoncina sempre trovata innocente come Baby, it's cold outside.
Sto pensando di finirla qui.
Ma non è vero.
Sto pensando che lo rivedrò, e anche presto Sto pensando di finirla qui.
Ne ha bisogno.
Ne ho bisogno.


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