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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
27/04/2022
Live Report
Still Corners, 20/04/2022, Circolo Magnolia
Gli Still Corners sono una band in crescita e con questo live si è capito un po’ di più il perché. Dal vivo ci sono ancora dei punti interrogativi ma il bilancio è nel complesso positivo.

È abbastanza sorprendente, se osservata dal punto di vista di un paese come l’Italia, l’affluenza di questa sera al Circolo Magnolia. Oddio, non siamo di fronte chissà cosa ma vedere il tendone dell’area invernale pieno per una metà abbondante può apparire singolare se si pensa che stiamo comunque parlando di quello che potrebbe essere considerato a tutti gli effetti un gruppo di nicchia che viene a suonare in un paese notoriamente attento alla dimensione mainstream e a poco altro.

Sono comunque cresciuti, gli Still Corners. Sarà forse dovuto a The Last Exit, quinto lavoro in studio, decisamente più accessibile rispetto ai passati trascorsi Sub Pop, ma è vero che nell’ultimo periodo (per la verità è un fenomeno riscontrabile già dal precedente Slow Air) le loro quotazioni, anche ad esaminare gli stream su Spotify, appaiono decisamente in ascesa.

Greg Hughes e Tessa Murray arrivano nel nostro paese a tre anni di distanza dall’ultima volta, potendo per la prima volta presentare un disco che, essendo uscito in piena pandemia, non aveva ancora goduto di un adeguato trattamento live (magari mi sbaglio, ma a quanto ne so l’estate scorsa sono rimasti fermi).

C’è già un nutrito gruppo di presenti ad accogliere Jason Robert Quever e i suoi Papercuts, opener d’eccezione di questo tour europeo, con gli Still Corners che possono così ricambiare il favore di undici anni prima, quando furono ospiti dell’artista californiano in occasione del loro primo giro negli States.

Essenzialmente una one man band (gli altri tre membri sono turnisti e cambiano spesso) i Papercuts sono in giro da vent’anni e passa (l’esordio Rejoicing Songs è del 2000) e hanno senza dubbio raccolto molto meno di quanto avrebbero meritato.

Past Life Regression è uscito da tre settimane e sono giustamente le canzoni di questo lavoro a dominare il breve set, da “The Strange Boys” a “Sinister Smile”, fino alla conclusiva “Palm Sunday”. Niente di nuovo sotto il sole, si tratta di un Indie Pop a tinte chiare, una via di mezzo tra Pastels e Camera Obscura e alcune delle cose più vecchie, come “Unavailable”, sono davvero notevoli. Ottima resa sonora e prova piacevole e coinvolgente. Decisamente da riscoprire.

Sono passati venti minuti e sono le 22 in punto, quando gli Still Corners salgono sul palco. Non sono più in quattro come agli esordi, adesso oltre a Tessa e a Greg c’è solo un batterista ma il suono è lo stesso pieno e potente. Ad aprire le danze ci pensa “White Sands”, opener di The Last Exit che però, contrariamente a quanto si sarebbe potuto immaginare, non è stato valorizzato così tanto (solo quattro brani sono finiti in scaletta). Del resto è passato un anno, a pensarci meglio è naturale che la band sia già oltre: sono nel frattempo usciti altri due singoli, “Heavy Days” e “Far Rider”, entrambi suonati questa sera, mentre un altro brano, intitolato “The Crying Game”, non è stato ancora registrato ma viene proposto sin da inizio tour. Si tratta di episodi molto riusciti (su quest’ultimo fa fede il primo ascolto) che portano ancora più in là quella migrazione verso il Pop di matrice Eighties che già ammantava profondamente l’ultimo disco. In particolare “Far Rider”, con le sue atmosfere western, pare seguire la fonte d’ispirazione morriconiana che loro stessi hanno dichiarato di avere assunto ultimamente.

È uno show dove la componente visiva ha un certo ruolo, lo schermo a fondo palco proietta infatti immagini per tutta la durata del concerto ed ogni brano ha una sua scenografia personalizzata. Utile a creare contesto e a rendere il tutto più interessante, visto che i nostri non sono poi così appariscenti.

Di per sé il concerto è godibile, il valore del repertorio non si discute (non hanno chissà quali picchi, a parte due o tre eccezioni, ma il livello medio dei pezzi è comunque più che buono) e la resa live è nel complesso soddisfacente. Più che altro, rimane il dubbio su quanto ci sia di genuino: le tastiere erano quasi tutte in base, Tessa ha infatti suonato per quasi tutto il tempo ma si è sempre limitata a parti piuttosto elementari; il bassista, va da sé, non c’era, mentre la batteria era triggerata e riverberata a livelli decisamente irreali, capisco che se proponi quella cosa lì ci sta che alteri il suono ma così mi è sembrato fin troppo palese, a tratti quasi caricaturale. Anche la chitarra è stata pesantemente ritoccata, anche se lo stile di Greg, sebbene un po’ troppo tamarro in certi punti, è senza dubbio bello da sentire (di gran pregio, da questo punto di vista, il lungo assolo sul finale di “The Trip”) e anche la cantante ha fatto la sua parte in modo egregio. Molto affascinanti le code strumentali in certi episodi, piacevolissimo il mood sognante e ipnotico sprigionato per gli ottanta minuti dello show; solo, un po’ di amaro in bocca e una certa sensazione di posticcio me la sono portata a casa. Capisco che possa essere un problema a livello economico, ma avessero aggiunto un bassista e un tastierista sarebbe stata tutt’altra roba.

Il pubblico comunque non sembra accorgersi di questi aspetti e risponde alla grande, si muove al ritmo dei brani e saluta con un boato i titoli più conosciuti, tanto che nelle pochissime pause che fanno tra una canzone e l’altra (è stato tutto molto tirato, quasi senza respiro, una scelta che ho apprezzato molto) Tessa ringrazia sorridente, sinceramente colpita da tanto affetto.

La scaletta privilegia gli ultimi tre dischi, con la sola “Downtown” (peraltro anche uno degli episodi più in linea con la nuova produzione, col suo ritornello molto catchy) a rappresentare il vecchio materiale. E quindi via con “The Last Exit”, “Black Lagoon” (per chi scrive il loro brano migliore, una vera e propria hit, almeno in potenza), “The Photograph” col suo ritmo cadenzato e le tastiere modello “Disintegration”, “Sad Movies” col suo ritmo sognante, la vagamente psichedelica “In the Middle of the Night”, per concludere, dopo i saluti di rito, con una efficace “Mystery Road”, altro punto di forza dell’ultimo lavoro.

Che oggi gli Still Corners siano ben avviati a diventare una band mainstream a tutti gli effetti lo si capisce non solo dalla piega che hanno preso i loro brani ma anche dai due artisti che hanno deciso di omaggiare durante questo tour: da una parte i Dire Straits (“So Far Away”) dall’altra Chris Isaak (“Dancin’”). Entrambe sono riletture di gran classe ma anche molto fedeli, è evidente che parte del loro marchio identitario il duo londinese lo abbia preso da lì.

Una band in crescita e stasera abbiamo capito un po’ di più il perché. Dal vivo ci sono ancora dei punti interrogativi ma il bilancio è nel complesso positivo. Ci vediamo alla prossima.

 

Photo courtesy: Lino Brunetti