Dopo la furia di Blossom, l’elegante profondità testuale e sonora di quel gioiello che è Modern Ruin e la depressione riflessiva e catartica di End of Suffering, da cui è uscito anche grazie all’amico, compare e chitarrista Dean Richardson, il prosieguo dell’avventura di Frank Carter con i suoi Rattlesnakes non poteva che essere all’insegna del più pazzo divertimento.
Dopo anni passati a sezionare il suo malessere e la natura delle sue relazioni, con gli altri, con la società, ma soprattutto con se stesso, e dopo pure un periodo di lockdown, era evidente la necessità di tracciare un cambio di passo rispetto al recente passato, una dichiarazione al mondo che dicesse: “ehi, sono di nuovo io, e lo sono nel modo più pazzo, colorato e folle possibile. Ho ancora le cicatrici addosso, a volte fanno ancora male, ma ora voglio di nuovo divertirmi come se non ci fosse un domani”.
Il mood delle canzoni di questo breve e nuovissimo Sticky, infatti, rappresenta efficacemente questa missione, portando in casa e nelle orecchie dell’ascoltatore un vortice di brani brevi, vivaci, vari, ma soprattutto estremamente catchy e accessibili anche a chi avrebbe avuto qualche difficoltà ad entrare nei mondi precedenti creati da Frank Carter, inequivocabilmente più viscerali, sensuali, cupi e sinuosi di questo.
La festa inizia subito con l’omonima “Sticky”, una dichiarazione di intenti dal ritmo trascinante che non si può non finire con il cantare a memoria dopo l’ennesima volta che finisce in loop nelle casse. L’avventura prosegue quindi con la bellissima e insinuante “Cupid’s Arrow”, una malata canzone d’amore tra due partner-in-crime e l’unica più simile nelle atmosfere ai due dischi precedenti, una traccia con cui un fan della prima ora si scioglie ancor prima di finire il ritornello. Sulla stessa tematica ritroveremo poi anche “Cobra Queen” nella seconda parte del disco, dedicata agli amori tossici, sbagliati, ma a cui non puoi fare a meno di pensare. Un cobra nella stanza, bellissimo ma mortale.
A generare lo stesso esaltante effetto di “Sticky” troviamo poi i due meravigliosi singoli usciti nelle settimane precedenti alla pubblicazione dell’album, posizionati a metà del disco: “My Town” e “Go Get a Tattoo”, i quali rappresentano anche un’importante peculiarità dell’album, i featuring.
Questo perché una festa, ancor più se considerata pure come un’uscita da una condizione di lockdown, per essere tale ha bisogno di ospiti, e Frank e Dean con gli invitati ci sanno decisamente fare. Al loro party vengono infatti chiamati il grandissimo Joe Talbot degli Idles, con cui si realizza la succitata e stupenda “My Town”, e il rapper Lynks, di cui non si può non apprezzare quanto i testi e la folle attitudine (per non parlare di maschere e abiti) si combinino con grande naturalezza con lo spirito di Frank e il senso che desiderava dare alle tracce in cui compare. Con lui infatti i Rattlesnakes realizzano non una ma ben due canzoni: “Bang Bang” e la divertente e allegra “Go Get a Tattoo”, una dichiarazione d’amore al mondo del tatuaggio e a quello che significa per Frank Carter, tatuatore professionista nel suo studio londinese di Hoxton Street, Rose of Mercy.
Tra gli invitati, inoltre, troviamo anche la rocker Cassyette su “Off With His Head”, brano in cui Frank desiderava trattare il tema della morsa patriarcale sul mondo e su quanto sia frustrante ritrovarla anche su di sé e nei propri comportamenti. Come ha dichiarato, si sta attivamente impegnando per decostruire molti degli schemi mentali e comportamentali che si rende conto di attuare inconsapevolmente, ma il lavoro è lungo, per cui ha deciso che era il caso di farsi aiutare da chi incarna la lotta al patriarcato ogni giorno, e così ha chiamato una delle più interessanti stelle nascenti del panorama britannico a dargli man forte.
A chiudere i giochi dopo soli 28 minuti di musica (che sarebbe stato meglio fossero qualcuno di più), però, come se i precedenti non fossero sufficienti, con “Original Sin” arriva il vero pezzo da novanta in quanto a ospiti: Bobby Gillespie dei Primal Scream, che regala per la chiusa del disco uno spoken outro di incredibile e subdola eleganza.
Se questa era la traccia in cui i Rattlesnakes volevano indicare il futuro a cui vorrebbero aspirare, allora abbiamo buoni motivi per sperare sia una strada interessante: spruzzata di post punk come in molte delle ultime tracce dell’album (per la prima volta troviamo un sax che si fa largo tra i brani), caratterizzata sempre da una massiccia dose dell’alternative rock più ammiccante, attento ai giusti beat ma mai banale, e da una generosa consapevolezza di cosa significa essere sensuale e insinuante, come solo dei “serpenti velenosi” (rattlesnakes) sanno essere.