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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
03/04/2024
Live Report
Steve Wynn + Chris Cacavas, 02/04/2024, Arci Bellezza, Milano
Il 2 aprile sul palco della Palestra Visconti dell'Arci Bellezza si è esibito nientemeno che Steve Wynn, storicamente parte della scena del Pasley underground (di cui troviamo la storia all'interno dell'articolo) con i Dream Syndicate, accompagnato per l'occasione da Chris Cacavas (ex Green on Red). Un live acustico e pieno di piccole chicche, tutte da scoprire leggendo il live report!

Personalmente devo molto a Steve Wynn, che incontrai musicalmente a metà degli anni '80; in quel periodo avvenne, ovviamente col senno del poi, una svolta epocale, non solo per il mio percorso musicale ma, penso di poter dire, per il mondo della musica rock alternativa. Dopo la “sbornia” del progressive rock degli anni '70, l’irruenza punk, germinata sul finire del decennio, era sfociata nella New Wave (con tutte le sue sottocorrenti: dal synth pop più commerciale, al gothic, sino al movimento industrial), che incominciò ad entrare in una fase di stasi e, a partire dal suolo americano, riemerse la fascinazione verso il suono degli anni '60.

Questo tipo di recupero avvenne fondamentalmente mediante due grandi correnti: da un lato il cosiddetto garage punk, cioè la rinascita di quel suono grezzo, puro e “primitivo”, i cui iniziali maestri furono sul lato Est della costa Rudi Protundi, prima con i Tina Peel, poi divenuti The Fuzztones, e Jeff Connolly con i DMZ poi divenuti Lyres; mentre sul lato Ovest la rinascita avvenne invece tramite la Bomp (di seguito ridenominata) Voxx Records di Greg Shaw e tanti altri combo.

Dall'altro lato ci fu però anche un recupero del suono degli anni '60 molto più ampio, che andava a ridefinire gli stilemi del folk rock, del country e anche quelli più lisergici di quel periodo storico. Questo movimento venne dominato da Mike Quercio (leader dei Three O’Clock) Pasley underground: un riferimento a quelle camicie che andavano molto di moda negli anni '60, con disegni stilizzati e multicolori ispirati da un motivo vegetale a forma di goccia di origine persiana. Si trattò di una vera e propria “piccola” scena musicale dove tutti i musicisti si conoscevano l’un con l’altro, dando vita a collaborazioni, produzioni, super-gruppi dove gli stessi si “mischiavano” tra di loro. I tre moschettieri del Pasley underground furono i Green on Red di Dan Stuart, i Rain Parade di Steven e David Roback e appunto i Dream Syndicate, capitanati da Steve Wynne Karl Pacoda (con i Long Ryders nei panni di D’Artagnan).

 

La musica dei Dream Syndicate, dopo l'esordio con l'iniziale mini album The days of wine and roses (che vedeva al basso Kendra Smith, che uscita dai Dream Syndicate tra le altre cose formò con David Roback un grandissimo gruppo profondamente ispirato alla musica psichedelica quali furono gli Opal) ancora “impastato” di suoni post-punk, incominciò un'attività di recupero di un suono quasi classico degli anni '60, innestando su liriche cupe alla Velvet Underground, elementi country blues e anche folk rock.

Il 1984 fu l'anno di pubblicazione del secondo album Medicine show (dopo cui anche Karl Pacoda abbandonò la band) e del successivo live denominato This is not a new Dream Syndicate album, che sanciva la separazione anche un po’ burrascosa con la major A&M. Dopo l’uscita di altri album tra cui Out of the Grey, il gruppo si sciolse per poi ricostituirsi circa dieci anni orsono; nel frattempo partecipò ad alcune incisioni della band anche Chris Cacavas, componente dei primi Green on Red, anch’egli uscito dalla sua band, cui aveva prestato un grande servigio con le parti d’organo in Gravity Talks testimonianza di un legame con Steve Wynn che evidentemente dura fino ad oggi. Ricordiamo Chris Cacavas in particolare per il bellissimo album Chris Cacavas and the  Junk yard, prodotto ovviamente da Steve Wynn.

 

Personalmente devo a Steve Wynn la scoperta della musica rock americano che, fino ad allora, per me rimaneva un universo sconosciuto, essendo nato e formato storicamente con il punk e la New Wave di matrice anglosassone.

Per capire la “complessità” di un artista come Steve Wynn vi rimando all’intervista realizzata da Luca Franceschini (vedasi qui); l’artista americano difatti viene molto spesso in Italia, a Milano è già transitato già l’anno scorso (vedasi Live Report sempre di Luca qui), e negli ultimi anni alterna tour sia con i Dream Syndicate, sia, come nel concerto in oggetto all’Arci Bellezza, in solo e in acoustic version.

 

La serata inizia con un breve set di Chris Cacavas di circa mezz’ora, il cui apice viene raggiunto con gli ultimi due pezzi (suonati alla tasteria) ovvero "California (Into the ocean)" e "Sucker", tratti entrambi da Bumbling Home from the star.

Di seguito sale sul palco Steve Wynn per un set di un’ora abbondante diviso in due parti: la prima solo con chitarra; la seconda con l’amico Chris alle tastiere.

Le danze si aprono con la ritmica "Tears won’t help", seguita da un altro brano del periodo post Dream Syndicate, ovvero "My old haunts".

Subito dopo Steve, introduce uno dei suoi brani più iconici, accennando alla circostanza che "a  guy" prima del concerto gli ha mostrato la cassetta originale di Medicine Show chiedendogli se avrebbe suonato uno dei pezzi dell’album, così il musicista suona "Burn" seguita da "Sweetness and Life", stante anche la presenza di Rich Gilbert in sala, dove ho intravisto anche Manuel Agnelli.

A seguire "Journeyman" la title track dell’ultimo album solo del musicista, e, di fila, un altro grande anthem come "Tell me when it’s over". La platea si “agita” con la successiva "The days of wine and roses" (con la sua chitarra “grattugiata”) per poi passare a "Glide", con Chris Cacavas che lo accompagnerà per tutta la seconda parte del live.

Il duo inanella tre pezzi di rilievo quali "Southern California Line" (il brano più “rumoroso” della serata), "Carolyn" (quello più West Coast) e la Bellissima "Boston".

A chiudere tre encore: "Baby we all gotta down", una tiratissima "Kerosene Man", ed infine, "When you smile" di nuovo da solo, a fronte di chi chiedeva "Merittville".

 

Che dire alla fine? Steve Wynn è come Robert Smith, ha così tanti brani in scaletta che potrebbe suonare per tre ore filate; personalmente questo concerto è l’epitome di quel viaggio iniziato nel 1984, la dimensione acustica che valorizza in maniera marcata l’appartenenza di Wynn al rock statunitense di natura “classica” (per quello più psichedelico ci sono i Dream Syndicate, come detto a Luca nell’intervista citata).

 

Alla fine un piccolo retroscena: il "guy" che gli ha mostrato la cassetta originale era il sottoscritto, ringraziato col suo solito fare gentile da Steve, così da “permettergli” di introdurre in modo simpatico "Burn".