In un mercato fisico dominato sempre più da ultracinquantenni noiosi, pronti solo a rivendicare la superiorità indiscussa della musica della loro giovinezza e a scagliarsi contro quei poveretti che ancora osano sostenere il metodo della storia e dei criteri di giudizio, parlare di ristampe dovrebbe essere proibito per legge; soprattutto dal momento che la maggior parte delle uscite di questo tipo (ormai tutti i principali magazine di settore, cartacei e non, hanno inaugurato sezioni apposite) poco o nulla aggiunge alle edizioni originali, e che vengono puntualmente rieditati anche lavori usciti solo qualche anno prima, spesso senza neppure attendere il fatidico scoglio del decennale.
In questo caso, però, c’è da fare un discorso un po’ diverso. “Stanze” dei Massimo Volume, che era originariamente uscito per la piccola ed oggi scomparsa Underground Records, prima che il gruppo approdasse alla neonata Mescal, non si trovava più da tempo in commercio. Io stesso, che mi sono avvicinato al gruppo in tempi relativamente recenti, ne ho recuperato una copia quasi per miracolo e quando, tempo addietro, la mostrai ad Emidio Clementi per farmela autografare, mi disse che quella particolare stampa in mio possesso era una cosa particolare, uscita in un momento preciso in poche copie e subito esaurita (varrà parecchio? Sinceramente non ho mai controllato, anche perché non la venderei mai). E sappiamo bene che quando è così, quando un disco non è più sul mercato e neppure sulle piattaforme streaming, sarebbe giunto il momento di correre ai ripari, soprattutto se, nel frattempo, la band in questione ha visto rinnovarsi l’interesse intorno ad essa, con conseguente richiesta da parte del pubblico di mettere le mani sull’intero catalogo.
L’occasione giusta è arrivata grazie al nuovo deal con la 42Records, tra le etichette più valide della nostra penisola, che pochi mesi fa ha fruttato “Il nuotatore”, primo disco dopo sei anni ed ennesimo tassello di eccellenza assoluta all’interno di una discografia peraltro sempre ottima (forse solo il controverso “Club Privé” potrebbe essere in qualche modo criticato). L’edizione, che arriva comprensiva di un live inedito risalente a quel periodo, ci permette di riscoprire un disco che, nell’ormai lontano 1993, inaugurava la vicenda artistica di uno dei gruppi più importanti di quella che un tempo era chiamata “la scena alternativa italiana”.
“Stanze” è senza dubbio un lavoro acerbo, sia per la produzione (anche se il remastering ha in questo caso migliorato notevolmente il risultato finale) sia per l’esecuzione generale e certe soluzioni di arrangiamento: è la testimonianza, per esempio, di un gruppo che aveva già capito che non avrebbe avuto un cantante vero e proprio ma che si sarebbe affidato ai testi recitati di Clementi; allo stesso tempo, però, non aveva ancora così chiaro come far dialogare questi testi con la musica, per cui si assisteva qua e là a qualche tentativo di ibridazione come cori per enfatizzare alcune parole o addirittura vere e proprie linee vocali, affidate alla batterista Vittoria Burattini (è il caso di “Un sapore, tutto qui” e “Cinque strade”).
A stupire è anche quanto picchiassero duro agli esordi: le ritmiche serrate e le distorsioni potenti la fanno da padrone in tutto il disco (soprattutto nella title track, “Insetti”, ma anche nel riff quasi Metal di “Ronald, tomas e io”), probabile contributo di Umberto Palazzo, che ha abbandonato prima delle registrazioni ma con cui è stato composto gran parte del materiale. Egle Sommacal è già presente in pianta stabile ma non aveva ancora sviluppato lo stile che l’avrebbe reso famoso in seguito, quelle architetture sonore che sarebbero divenute il marchio di fabbrica della band già dal successivo “Lungo i bordi”. Eppure, nel riff straniante di “Alessandro” o nelle ritmiche inquietanti di “Tarzan” e “In nome di Dio”, nell’incedere quasi Progressive di “Ororo”, sono già ben visibili i segni della futura grandezza.
I testi di Mimì, invece, sono già perfettamente formati. Sono a tratti acerbi, certo, si sente tutta l’influenza della sua giovane età, della vita non proprio tranquillissima che aveva fatto fino ad allora, di un’inquietudine che aveva solo da pochissimo iniziato a trovare un luogo in cui riposare. C’è il modo ancora tutto a tentoni con cui prova a scandire le parole (a volte fin troppo dentro al mix, con conseguenti problemi di intelligibilità), utilizzando un tono declamatorio e a volte enfatico che, se confrontato con il controllo e la padronanza di oggi, potrebbe anche apparire ingenuo. Se quindi dal punto di vista vocale l’assetto ideale sarebbe stato trovato in seguito, le liriche funzionano alla perfezione: certo, nei dischi successivi ci avrebbe fatto vedere ben di meglio ma il suo crudo realismo e la sua capacità evocativa spiccano da subito, rivelandone le enorme potenzialità di scrittore che si sarebbero espresse in seguito nei diversi romanzi e racconti da lui pubblicati.
Gli spaccati autobiografici di “Ronald, tomas e io”, il penetrante ritratto di “Alessandro”, le suggestioni cinematografiche di “Tarzan” e “In nome di Dio”, le descrizioni allucinate di “Insetti” e “Ororo” (quest’ultima per molto tempo inserita in scaletta alla fine dei concerti), la quotidiana esistenzialità di “Stanze vuote”: sono le prime prove di un autore capace di incantare col potere della parola, di prendere per mano l’ascoltatore e mostrare tutta la bellezza e insieme la tragicità che si annida “lungo i bordi” della vita.
“Stanze” è il disco che bisogna avere per comprendere appieno da dove è nato tutto, per capire come i Massimo Volume di allora siano diventati i Massimo Volume di oggi. A breve torneranno dal vivo, questa volta nei club, dopo i teatri di questa primavera e gli open air dell’estate. Noi ovviamente ci saremo. Anche perché hanno promesso di suonarci qualcuno di questi vecchi brani da troppo tempo trascurati: non ci sarebbe regalo migliore.