Ci siamo innamorati follemente di Yolanda Quartey due anni fa, quando il suo album di debutto solista, Walk Through Fire, girava vorticosamente sullo stereo, facendoci perdere la cognizione del tempo e dello spazio. Un esordio incredibile, che valse alla cantante inglese (originaria di Bristol) ma di stanza a Nashville, quattro nomination ai Grammy, trasformandola in una star di prima grandezza. E viene da domandarsi, ascoltando questo nuovo Stand For MySelf, quante ne potrebbe ottenere ancora, considerata la potenza del suo songwriting, l’eclettica profondità soul della sua incredibile voce e il piglio disinibito con cui Yola affronta svariati stili musicali, tutti con eguale consapevolezza.
A produrre, come era avvenuto per il precedente Walk Through Fire, il chitarrista dei Black Keys nonchè produttore, Dan Auerbach (anche coautore di tutti i brani in scaletta), che ha aperto il suo Easy Eye Sound, portando in studio un parterre di musicisti straordinari e qualche ospite di lusso.
Il risultato è un disco che vede la trentasettenne cantante britannica esplorare ogni angolo della collezione di dischi con cui è cresciuta, plasmando un melange sonoro in cui confluiscono soul, R&B, disco, funk, gospel, americana, pop e country, tutti sontuosamente orchestrati, e rendendo omaggio alle influenze di una vita (Tina Turner, Barry White e Bee Gees sono alcuni dei riferimenti più evidenti).
L’album ha iniziato a prendere forma quando la pandemia ha costretto alla cancellazione delle date del tour di Yola con Chris Stapleton, e la registrazione delle canzoni è avvenuta attraverso una serie di sessioni notturne nell'autunno 2020, con una sezione ritmica che includeva il bassista dei Dap-Kings, Nick Movshon, che ha anche lavorato con Amy Winehouse, e il batterista Aaron Frazer (Durand Jones & The Indications). Un lavoro certosino in studio, poi, con Auerbach a levigare il suono e limare le impurità.
Le deliziose armonie di Barely Alive aprono il disco intrecciando la voce potente di Yola a evocative radici soul, un tocco vintage anni ’70 e il cuore in mano per raccontare una storia di sconfitta e di riscatto (Quando comincerai a vivere, ora che sei sopravvissuto?), che invita a mettersi sempre in gioco, nonostante le avversità della vita.
Dancing Away In Tears, scritto in collaborazione con Auerbach e Natalie Hemby, si sviluppa su un arrangiamento di fiati alla Burt Bacharach, che scivolano verso un groove da discoteca punteggiato da vivaci percussioni e trainato da un ritornello irresistibile (se vi vengono in mente i Bee Gees avete intuito bene), la giocosa linea di basso su cui viaggia veloce Diamond Studded Shoes miscela suono Motown ed echi country, che tornano anche in Be My Friend, ode all’amicizia cantata in duetto, e che duetto, con Brandi Carlile.
Se Great Divide è un ballatone soul a ritmo (lento) di valzer che conduce l’ascoltatore nel cuore degli anni ’60, il velluto blues di Starlight evoca la connazionale Adele e If I Had To Do It All Again saltella lieve sulla voce calda di Yola, Now You're Here, con leMcCrary Sisters ai cori, spinge di nuovo verso il dancefloor anni ’70 con il passo lento e sensuale di Barry White e un ritornello sublime.
Non c’è canzone che non brilli di luce propria né passaggio che non sia seducente, in Stand For Myself, e si arriva verso il finale d’ascolto con la voglia di ricominciare da capo. C’è ancora tempo, però, per il r’n’b tempestoso di Break The Bough, omaggio alla madre morta nel 2013, la riflessione esistenziale di Like a Photograph avvolta delicatamente negli archi e nella steel guitar di Dan Dugmore e il gran finale della title track, orgoglioso inno identitario, che suona come un brano dei Fleetwood Mac e racconta il lungo percorso di Yola verso la rinascita artistica e umana (“Ora sono viva, è difficile da spiegare, ci è voluto così tanto tempo, ci è voluto così tanto dolore, puoi arrivare qui se vuoi, lasciati andare per un nuovo inizio”).
Un cammino impervio, partito da Bristol e da una vita di insuccessi vissuta al confine con la povertà, che Yola ha saputo trasformare in arte sublime, non abbattendosi ma credendo sempre nelle proprie possibilità. Questo Stand For Myself risulta così come un ulteriore passo avanti verso la gloria: le canzoni sono splendide, gli arrangiamenti ricchi e voluttuosi, l’uso della voce è più calibrato, il timbro più caldo e sfumato, e la ricchezza di stili che la Quartey riesce a interpretare denotano la libertà espressiva di chi possiede un livello di consapevolezza superiore. Se al suo esordio poteva sembrare un azzardo affermare che era nata una stella, ora ne abbiamo la certezza: la luce di Yola brilla e brillerà negli anni a venire. Discone!