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MAKING MOVIESAL CINEMA
Stagione 4
Black Mirror
2017  (Netflix)
SERIE TV
all MAKING MOVIES
08/01/2018
Black Mirror
Stagione 4
Attesa, temuta, divorata. Black Mirror è così, sempre sulla bocca di tutti, sempre giudicata da tutti, da lei si vuole sempre di più, sempre troppo. E quando qualcosa cambia, quando i registri si fanno meno cattivi, lo specchio meno nero e meno incrinato, c'è chi non ci sta.

Attesa, temuta, divorata.
Black Mirror è così, sempre sulla bocca di tutti, sempre giudicata da tutti, da lei si vuole sempre di più, sempre troppo.
E quando qualcosa cambia, quando i registri si fanno meno cattivi, lo specchio meno nero e meno incrinato, c'è chi non ci sta.
C'è chi fa scorpacciata, senza ricordarsi che ogni episodio andrebbe visto con il suo tempo, lasciandolo respirare, come il vino buono, per sentirne di più il sapore, la mazzata.
Sei episodi, forse meno dirompenti di un tempo, più accomodanti e in cui la tecnologia qua e là è più defilata.
Forse.
Perché sì, ci si è allontanati dalle prime stagioni capaci di sconvolgere e far ripensare il nostro rapporto con la sceneggiatura, l'happy end ora la fa un po' più da padrone, ma...
Ma, prendiamo fin da subito l'ultimo episodio, partiamo dalla fine, da quel Black Museum che fin dal titolo fa pensare al peggio, fa pensare inevitabilmente al razzismo, con quella ragazza apparentemente indifesa che - nel mezzo di un deserto - entra in visita, si fa guidare da un curatore alquanto sinistro, dai modi e dal fisico inquietanti. Un episodio finale che ne include tre, tre storie in cui la tecnologia ci viene mostrata al suo peggio, capace di generare mostri, di renderli coscienti delle proprie potenzialità: uccidere, infliggere dolore, accantonare e dimenticare, o non lasciar morire. Che pure questo, sì, è un crimine.
In mezzo a reperti dal passato oscuro, in questo museo ogni storia prende alla gola, fa sussultare o fa semplicemente tentennare: com'è che più si avanti, meno si accetta la morte? Come può essere una buona idea far vivere qualcuno nella propria mente, impedendoci di andare avanti?
O semplicemente, dove sta l'umanità nel non voler uccidere, non lasciar andare, e far soffrire così un presunto colpevole?
Si finisce, insomma, con un trittico in cui da racconto a racconto, a riferimento (come torna, e spezza immediatamente il cuore, quel San Junipero), Charlie Brooker ci ricorda cosa sa fare.

È vero, però, questa stagione è anche quella con l'episodio meno riuscito, quel Metalhead tanto criticato e che in fondo è niente più che un survival movie, una corsa contro il tempo e verso la vita in cui la tecnologia è nascosta, il futuro distopico non lo si conosce né lo si capisce, ma Bella ha una marcia in più, in grado di farcela, di mettercela tutta, finché può. Un episodio minore, a livello di sceneggiatura ma non di estetica, con quel bianco e nero di accecante bellezza che aumenta i livelli di ansia.
È una stagione al femminile, poi, questa quarta. Una stagione in cui le donne ancora una volta sono protagoniste, salvano la situazione o la rendono peggiore.
In Arkangel (diretto da Jodie Foster) c'è una madre, che di ansie ne ha da vendere, una mammina-pancina, chissà, che non vuole perdere la sua bambina, non la vuole traumatizzare, la vuole proteggere da ogni possibile pericolo o livello di stress, con tutte le conseguenze del caso. Prova, un altro genitore, a dire che non serve, che rompersi un braccio, come morire, fa parte della vita.
I pericoli, anche se piccoli, aiutano a crescere, le cadute, le ginocchia sbucciate, un semplice cane che abbia, se affrontato, insegna. E sembra capirlo quella madre, quando il monitor di controllo si fa invasivo, quando quella figlia cresce e cambia; ma quando l'adolescenza incombe, e gli ormoni pure, le ansie si ripresentano, il controllo si vorrebbe tornare ad averlo, e così quella tecnologia pensata per aiutare, per meglio gestire certe paure, si rivela un'arma a doppio taglio (letteralmente), un lievitare delle paure irrazionali di genitori che ci vedono allo sbando, senza sapere che l'amore, così come la sperimentazione, fanno parte della vita.
E pensare che tutto parte da un gatto, inseguito al parco, che ha portato a perdersi.

Un criceto è invece l'eroe di Crocodile, un vero e proprio thriller, un'investigazione in cui il colpevole lo si vorrebbe protetto per evitare altro spargimento di sangue. Un'assassina che non ti aspetti, che difende con i denti e con il sangue quanto costruito (anche se è un matrimonio all'apparenza non perfetto e un figlio a cui non si prestano chissà quali attenzioni), che quel passato da presunta innocente, spazza via in una giornata in cui di morti sulla coscienza ne avrà ben altri.
Qui, la tecnologia è amica e nemica, aiuta assicuratori ma li mette anche in pericolo, aiuta la polizia ma stana quel colpevole efferato. Andrea Riseborough, tanto all'apparenza fragile quanto implacabile, è una rivelazione.
Altra donna, altra eroina, è Cristin Milioti in USS Callister, un inizio diverso, che colpisce, in cui sembra di essere proiettati dentro un episodio di Star Trek. Un Toy Story 3.0, un Sims in cui i protagonisti hanno effettiva vita propria, coscienza ed emozioni, in cui il bullizzato nella vita, diventa il bullo nel suo mondo, sfogando rabbia e frustrazioni, diventando più cattivo dei suoi cattivi. Idea come sempre geniale, svolgimento con qualche buco qua e là, con un mondo là fuori che non viene coinvolto, con un'avventura che sa però come prendere al cuore e alla gola, un finale al cardiopalma, con quel cattivo di Jesse Plemons che continuerà a fare antipatia, e un lieto fine che ha la voce di un altro protagonista di Breaking Bad.
E arriviamo infine a lui, a Hang the DJ: l'amore, di nuovo, al centro.

Qui, la genialità torna a brillare: le app per gli incontri perfetti, quelle affinità selettive vengono portate all'estremo, in un gioco della vita che comprende anni di convivenza forzata, avventure da una notte, mentre quel primo incontro, quel primo sguardo fatto di tenerezza ed imbarazzo, continua a pulsare. E poi, il voler sapere, il non fidarsi, il nascondere intenzioni che minano il rapporto, minano pure la sua durata, come se la fiducia fosse davvero alla base di tutto. Due protagonisti che non si può che amare, una tecnologia che fa da guardiano e da padrone, da spada di Damocle che non si riesce, purtroppo, ad ignorare. E poi, il finale, in cui quell'Hang the DJ si spiega, in cui tutto, in realtà, è ancora da scrivere.

Sarà stata una stagione meno nera e più luminosa, ci saranno stati più lieti fine e meno tecnologia imperante, ma Black Mirror, l'inarrestabile Charlie Broker che tutto scrive e pensa, continua a convincere, continua a regalare ansie, paure, ma per fortuna anche speranze. A mostrarci l'oggi in un futuro vicino, o a divagare fra lo spazio di un videogioco o fra i boschi per sopravvivere. Ricordandoci che la memoria non si cancella, la morte non la si può evitare, e l'amore, sì, è ribellione.