Diciamo che nonostante Squid game sia una serie davvero piacevole da guardare, con i suoi pregi e i suoi difetti, le altre due opere citate sono proprio un'altra cosa. Se la disparità e l'ingiustizia sociale sono alla base di entrambi i prodotti coreani, Bong Joon-ho affrontava l'argomento con arguzia ma con tutt'altra profondità, le motivazioni non abbandonavano mai la narrazione in favore del semplice intrattenimento come accade in Squid Game, la violenza e il suo uso erano calibratissime mentre qui appaiono in alcuni passaggi finanche gratuite, in Parasite si assisteva a un crescendo perfetto mentre per la serie di Hwang Dong-hyuk il finale probabilmente non si dimostrerà poi così soddisfacente per più di uno spettatore. Con La casa di carta in comune ci sono le tute rosse (mossa parecchio furbetta e studiata) e basta, nel serial spagnolo i personaggi sono costruiti con ben altro spessore, più approfonditi e il coinvolgimento, nonostante entrambe le serie puntino prevalentemente a un intrattenimento facile, era davvero su tutt'altro livello. Con questo non si vuole certo sminuire questa serie che per tutta la sua durata rimane sempre più che godibile e porta un prodotto asiatico seriale al grande pubblico occidentale.
Lo squid game è il gioco del gambero, un passatempo diffuso tra i bambini coreani che ci introduce alla storia narrata. Seul, Seong Gi-hun (Lee Jung-jae) è un uomo sull'orlo del fallimento, versa in una profonda crisi economica, poco lavoro, debiti, l'uomo cerca aiuto ancora dall'anziana madre, i pochi soldi che racimola li gioca ai cavalli, separato dalla ex moglie ormai risposatasi non riesce a garantire un rapporto di qualità alla piccola figlia in procinto di trasferirsi negli Stati Uniti. L'uomo sembra un bambinone troppo cresciuto, in un momento di disperazione si lascia convincere a partecipare a un gioco misterioso con un grosso montepremi in palio e senza conoscerne le regole. Narcotizzato e portato sul luogo dell'evento, un'isola misteriosa, Seong Gi-hun incontrerà il suo amico d'infanzia Cho Sang-woo (Park Hae-soo), uomo di successo ma segretamente caduto in disgrazia. Insieme a loro centinaia di futuri giocatori: un uomo molto anziano, Oh II-nam (Oh Yeong-su), a cui è stato diagnosticato un male in fase terminale, la borseggiatrice Kang Sae-byeok (Jung Ho-yeon) che immigrata dalla Corea del Nord vorrebbe prendersi cura del fratellino piccolo, una coppia sposata, il delinquente Jang Deok-su (Heo Sung-tae) che ha rubato soldi a un boss della mala e diversi altri ancora, tutti spinti da condizioni di miseria a partecipare a una competizione che loro ancora non sanno essere mortale. Sei giochi da superare pena la morte, un premio in denaro che cresce a ogni eliminazione, i reietti della società a contenderselo tra paura e violenza.
Dalle dichiarazioni dello stesso Hwang Dong-hyuk sembra che nessuno, nemmeno Netflix, si aspettasse il successo che sta riscuotendo questa serie il cui meccanismo a prove successive è mutuato dai manga, come racconta in alcune interviste il suo creatore; in effetti i vari livelli da superare, oltre che ai videogames, fanno pensare ad alcune narrazioni molto usate nei fumetti del Sol Levante, per ciò che concerne il suo successo ha contribuito il look accattivante dei guardiani del gioco (tute rosse e maschera nera con simbolo geometrico), comparso poco dopo la messa online dei nuovi episodi de La casa di carta è rimasto impresso negli occhi e nelle teste degli spettatori creando curiosità attorno al nuovo prodotto. La produzione è di buon livello, la regia non annoia mai se non per l'abuso di qualche campo lungo nei primi episodi nei quali i concorrenti sono tantissimi e la portata del massacro necessita per forza di cose una visione d'insieme molto ampia. Proprio nei primi episodi le uccisioni di massa potrebbero far storcere il naso a qualcuno, dal punto di vista visivo nulla di troppo forte, come situazioni invece sì, chiara metafora di ciò che la società moderna permette tutti i giorni e a cui spinge i disperati, la ricerca di nuove soluzioni per affrontare vite nelle quali ormai non ci sono più garanzie e speranza. Ben calibrata la crescita dei personaggi, seppur non troppo approfonditi ad esempio Seong Gi-hun passa da quella che può sembrare una macchietta ad essere un uomo tormentato dalla necessità di dover prendere scelte difficili che coinvolgono non solo la propria sopravvivenza ma anche quella di altri, non tutti reagiranno nello stesso modo e la stessa costruzione dei giochi contribuisce a rendere vivace il rapporto tra i personaggi che sono chiamati ad affrontare dinamiche sempre diverse: tutti contro il gioco, prove in solitaria, prove a coppie, imprevisti anarchici e così via. Almeno un paio di sottotrame, non troppo sviluppate, una delle quali tocca corde scoperte, con un accenno velocissimo, quasi impercettibile, esplica l'orrore di ciò che l'uomo arriva a fare per contrastare la miseria. Molto apprezzata l'idea di non ricorrere al flashback costante per delineare i protagonisti, riuscito l'espediente del secondo episodio per mostrare le vite dei personaggi al di fuori del gioco così come l'uso del testa a testa per mettere in crisi i protagonisti adoperato nell'episodio Gganbu. Finale un po' così, può piacere come no, lascia qualche spiraglio a nuove possibilità, nel complesso Squid game è una serie riuscita, non tra i migliori prodotti in circolazione ma per quel che riguarda l'intrattenimento puro non gli si può rimproverare poi molto.