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TRACKSSOUNDIAMOLE ANCORA
Splendid
Vic Chessnutt
2007  (Constellation)
AMERICANA/FOLK/SONGWRITER ALTERNATIVE
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25/03/2019
Vic Chessnutt
Splendid
Tutto è perfetto in Splendid: la voce tristissima di Chesnutt, la ieratica scansione metrica del testo, il racconto nostalgico di una giovinezza che evapora, completamente, in un breve ricordo d’estate.

La storia di Chesnutt è la storia di una giovinezza rubata, di sogni infranti, di un calvario feroce, estenuante, mortificante. Chesnutt viveva dall'età di diciotto anni inchiodato a una sedia a rotelle a causa di un gravissimo incidente stradale. Una sentenza inappellabile, uno iato definitivo nella pienezza della vita. Ciò, tuttavia, non gli ha impedito di percorrere la propria strada attraverso la musica, di camminare e di correre, metaforicamente, come tutti gli altri, sospinto dalla forza di una passione artistica in grado di forgiare canzoni in perenne movimento fra spiritualità e azzardo sperimentale.

Fu proprio quella tragedia, le sue terrificanti conseguenze, la costante e conseguente battaglia contro la depressione, l’alcol e le droghe, a renderlo l'artista sensibile e impegnato che abbiamo imparato a conoscere nel corso degli anni. Una vicenda artistica, quella di Vic, che ricorda molto da vicino l’esperienza vissuta da Robert Wyatt: la paralisi come soglia dell’abisso e slancio per una successiva resurrezione, come baratro di dolore e nel contempo ascensione verso il cielo stellato. Anche le canzoni di Chesnutt, come quelle dell’ex Soft Machine, prendevano forma da una gestione assolutamente anarchica del pentagramma, erano figlie di una fantasia sbrigliata e anticonvenzionale, che pescava sì dalla tradizione (quel vago suono southern sottotraccia che l’ha accompagnato fino alla fine), ma rielaborava i moduli e le note attraverso coordinate spesso indecifrabili, apparentemente ostiche, mai prive, tuttavia, di una, seppur defilata, sostanza melodica foriera di grandi struggimenti.

La musica del cantautore georgiano aveva il respiro dell'epica rock (meglio: post-rock), le sembianze dimesse di un folk aspro e dissonante, i palpiti trattenuti dell'intimismo più colloquiale, e una ricchezza di suoni non lineare e a tratti addirittura scorbutica, come se volesse celare le lacrime del dolore dietro la maschera di un ringhio.

North Star Deserter, uscito nel 2007, via Constellation, è l'opera malinconica e visionaria di un uomo che cerca nella scrittura lo spazio per quei movimenti che la paraplegia gli ha tolto. Fin dalle prime note del disco si percepisce quanto le canzoni di Chesnutt siano prive di connotati spazio-temporale, e possiedano invece un’anima brada, scapigliata; quanto puntino direttamente l’orizzonte e poi virino improvvise, cerchino la stasi e subito scartino, evaporino, incoerenti, in ascensioni e sprofondamenti, per perdersi in un susseguirsi, quasi ansiogeno, di lente ma inesorabili dilatazioni, di improvvise e furiose accelerazioni.

Canzoni dicotomiche, quelle di Chesnutt, umore cupo e disperato, songwriting rilucente. Contraddizioni, luci e ombre, estasi e tormento. Splendid rappresenta uno degli apici della scrittura di Chesnutt, è una canzone talmente decisiva da farci credere che la vita (la nostra, la sua) stia tutta in quelle note, nelle distorsioni e nei riverberi di pinkfloydiana memoria, in una serie di strofe che spiazzano per intensità emotiva come quelle cantate da Johnny Cash nella cover di Hurt dei NIN (avete presente il video di Hurt? E’ come se quell’attimo finale in cui Cash chiude il pianoforte, in Splendid si ripetesse all’infinito).

Tutto è perfetto: la voce tristissima di Chesnutt, la ieratica scansione metrica del testo, il racconto nostalgico di una giovinezza che evapora, completamente, in un breve ricordo d’estate (On the beach we had fun, by the rocks in the sun, we were young, we were free, we were wild as the weeds below cliffs).