Non c’è dubbio che Josh Ritter sia uno dei migliori cantautori della sua generazione, colpevolmente sottovalutato alle nostre latitudini. Guardando il suo corpus produttivo, però, c’è da rimanere ammirati: 11 album in studio, compreso questo nuovo Spectral Lines; due romanzi di successo, Bright’s Passage del 2001 e The Great Glorious Goddamn of It All del 2021, quest’ultimo pubblicato in Italia lo scorso anno da NN Editore con il titolo Una grande, gloriosa sfortuna; e uno stretto sodalizio artistico con l’ex Grateful Dead Bob Weir, per il quale ha scritto molte delle canzoni del suo recente disco solista Blue Mountain.
Salito alla ribalta, dopo una lunga gavetta, con The Historical Conquests of Josh Ritter (2007), il cantautore dell’Idaho, la cui musica degli esordi era fortemente ispirata tanto al Bob Dylan elettrico quanto al Leonard Cohen acustico, ha gradualmente introdotto elementi di rock, country e blues nel suo repertorio. Questa scelta lo ha portato a incidere album come The Beast in Its Tracks (2013), Sermon on the Rocks (2015), Gathering (2017) e Fever Breaks (2019, prodotto da Jason Isbell), lavori acclamati dalla critica che hanno spinto un po’ più in là i confini di quello che viene considerato folk e americana, consegnando a Ritter un posto di primo piano nel panorama cantautorale contemporaneo.
In questa prospettiva, Spectral Lines è ancora una volta un passo in avanti. Prodotto dal collaboratore di lunga data Sam Kassirer (Lake Street Dive, Langhorne Slim), l’album vede Josh Ritter espandere ulteriormente i propri orizzonti sonori, portandolo a creare un lavoro dalle atmosfere sonore eteree, verrebbe da dire impressioniste. Il cantato di Ritter, infatti, non è mai stato così economico, sfiorando spesso lo spoken word, mentre gli strumenti che lo circondano dipingono paesaggi sonori minimali. Ne sono un esempio l’iniziale “Sawgrass”, che sembra uscita da un disco dei The National, oppure “Horse No Rider”, contraddistinta da un efficace break di sintetizzatore, per non parlare di “Any Way They Come”, un brevissimo pezzo dalla struttura folk sostenuto solo da una tastiera ambient.
Dedicato alla memoria della madre, Spectral Lines vede Ritter esplorare temi universali come l’amore e la devozione e riflettere su che cosa significhi essere connessi, sia nei rispetti dell’altro sia nei confronti di se stessi. Argomenti impegnativi e ambiziosi, che hanno spinto Josh Ritter verso una filosofia musicale da less is more, dove il testo è al centro e gli arrangiamenti sono funzionali alla trasmissione di un’emozione, di un preciso sentimento.
Suonato principalmente da Ritter e Kassirer, il disco ospita però anche il contributo di altri musicisti, come il bassista della Royal City Band Zack Hickman e di vecchie e nuove conoscenze, come Jocie Adams (clarinetto), Matt Douglas (legni), Rich Hinman (chitarra, pedal steel), Shane Leonard (batteria, chitarra, basso), Kevin O’Connell (batteria, basso, chitarra) e Dietrich Strause (chitarra). Il risultato è una musica sognante, suonata da un ensemble che ama indugiare in atmosfere il più delle volte inquietanti e misteriose, talmente eteree da lambire il mistico e il surreale.
Ma in Spectral Lines non c’è solo oscurità, dal momento che a pezzi riflessivi e spettrali come “Black Crown”, “Whatever Burns Will Burn” e “In Fields” Ritter contrappone sapientemente brani come “For Your Soul”, contraddistinta da una vivace energia e da un ritornello ficcante, “Strong Swimmer”, che racconta con affetto di un padre che vede crescere le proprie figlie, e “Someday”, che chiude con una nota di speranza un disco maturo, che richiede tempo per essere assimilato e che è composto da canzoni che – come ha affermato lo stesso Ritter – può scrivere solo un autore di 46 anni pienamente consapevole dei propri mezzi.