A distanza di tre anni dal fortunato The Blade (2015), che le valse anche una nomination ai Grammy Award, Ashley Monroe torna con un nuovo album in studio, il quarto da solista (senza contare, quindi, la militanza parallela nelle Pistol Annies).
In questo periodo di tempo, Ashley ha dovuto affrontare la morte dell’amato padre e è diventata mamma di una bambina. Esperienze, queste, che sono confluite nei testi di Sparrow, un disco che ragiona in modo agrodolce sul dolore del lutto, sulla gioia della maternità, sul desiderio di riappropriarsi della propria femminilità dopo la gravidanza e il travaglio. Un disco, dunque, composito e vario a livello testuale, che alterna momenti sensuali (Wild Love) a riflessioni più profonde e a un mood meditabondo (Orphan).
Accantonato il rapporto con Vince Gill, che aveva prodotto i due precedenti lavori, la Monroe ha reclutato niente meno che Dave Cobb, il re Mida del suono americano. Grande produttore, artefice del successo di moltissimi artisti (Sturgill Simpson, Chris Stapleton, etc), Cobb ha messo mano a Sparrow, apportando significativi cambiamenti al suono cristallizzato nei precedenti lavori e, forse, per la prima volta, il risultato finale è, quanto meno, discutibile.
Che non si possano attendere grandi rivoluzioni dal country stereotipato di matrice nashvilliana, spesso imparentato al pop e a svenevolezze radiofoniche, è un dato di fatto. In Sparrow, però, la misura è davvero colma, gli arrangiamenti sono leziosi e dolciastri, e l’uso abbondante di archi non rende giustizia a canzoni che altrimenti non sarebbero affatto male.
Sgravati, infatti, dai paludamenti di una produzione fin troppo invadente, alcuni brani che compongono la scaletta potrebbero rivelarsi, in una dimensione “naked”, degli autentici gioiellini. L’inziale Orphan, a esempio, è una canzone splendida, sofferta e appassionata, ma il profluvio di violini e violoncelli ne mortifica il pathos. E la stessa cosa si può dire per altri episodi, come Hard On A Heart (qui gli archi suggeriscono un vago sapore di disco music anni’70) o Rita, che risplenderebbero di autentica bellezza se asciugati dai paludamenti eccessivi di una produzione ampollosa e ridondante.
Anche perché, quando la Ashley fa il suo con maggiore semplicità, emerge un songwriting ispirato e personalissimo: She Wakes Me Up (Rescue Me), ad esempio, è un delizioso pop che viaggia veloce su una bella base r’n’b, mentre la sensuale Hands On You, dalle atmosfere languidamente bluesy, suggerisce fascino e voluttà.
E’ un’occasione persa, Sparrow, dal momento che la Monroe, lo dimostra anche il progetto Pistol Annies, possiede indubbie qualità (anche vocali, nonostante il timbro da gattina con il raffreddore) e in questo disco ha riversato cuore e sentimento, confezionati, però, col gusto pacchiano del sentimentalismo. Peccato.