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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
22/01/2024
The Gathering
Souvenirs
Un disco controverso, la svolta definitiva per gli olandesi The Gathering, che abbandonano ogni scoria metal in nome di una musicai ibrida, oscura ed evocativa, che flirta con il trip hop, l'elettronica, la sperimentazione e la malinconia.

Nati nel 1989 vicino a Oss, nei Paesi Bassi, i Gathering hanno iniziato la loro carriera tre anni dopo, con la pubblicazione di Always…, un disco di doom metal, che ben rappresentava l’amore della band olandese per i suoni estremi. Lentamente, però, la proposta è cambiata, e già a partire del terzo album, il bellissimo Mandylion (1995), il primo con Anneke Van Giersbergen alla voce, i Gathering hanno iniziato a svoltare, album dopo album, verso sonorità più morbide, dall’impianto complesso e più contiguo a una certa idea di progressive.

Souvenirs, pubblicato nel 2003, rappresenta quella che può essere considerata la svolta definitiva, un cambio radicale che vede il metal accantonato definitivamente. Un disco, è innegabile, assai controverso, come succede ogni volta che una band apporta cambiamenti drastici al proprio sound: alcuni fan lo adorano e altri lo odiano, mentre allo stesso tempo, il cambio di spartito ha suscitato anche l’interesse di nuovi appassionati. E’ fuori di dubbio che i Gathering lo sapessero, mentre stavano registrando questo album. Sapevano che quel cambiamento era una necessità pressante e inarrestabile, che imponeva una creatività diversa, non più in linea con il proprio passato, ma indispensabile perché la band ampliasse e mantenesse viva la propria ispirazione.

 

Come si diceva, dal loro primo disco, Always… del 1993, fino a If Then Else, pubblicato nel 2000, il suono dei The Gathering si è costantemente spostato dal metal verso l’alternative rock e il goth. Se, però, in If Then Else comparivano ancora retaggi del lontano passato (Shot to Pieces, Analog Park), in Souvenirs l’allontanamento dalle sonorità estreme è definitivo. Di conseguenza, era inevitabile che Souvenirs suonasse come una delusione per tanti fan della prima ora, nonostante la ricchezza espressiva delle dodici canzoni in scaletta si ponga su un piano diverso, che potremmo definire qualitativamente eccelso.

Questo disco, infatti, fluttua in una terra di mezzo dove la contaminazione è la lama più affilata nelle mani della band. In Souvenirs, infatti, convivono rock e pop, ritmiche trip hop, sperimentazione e melodia, elementi questi plasmati attraverso un mood cupo, intimista, malinconico. Se il termine heavy può avere ancora un senso, qui lo ha perché questa musica, nonostante l’indubbia caratura melodica, è prevalentemente oscura e inquietante, una coltre che raramente lascia passare raggi di luce. 

 

Il primo brano in scaletta, "These Good People", dà immediatamente la chiave di lettura dell’intero disco: se il titolo evoca scenari gioiosi, versi come “trasformerai la nostra limousine in un carro funebre” spingono verso territori tutt’altro che compiacenti. La ritmica è un evidente richiamo a Massive Attack e Portishead, il pianoforte sgocciola mestizia, la voce della van Giersbergen fluttua sulle partiture come un mantra rassegnato, e, nel complesso, il risultato finale è oscuro, quasi sinistro.  La traccia successiva, "Even the Spirits are Afraid", sviluppa un groove gotico per cinque minuti che lasciano senza fiato. La chitarra e il basso (ancora Massive Attack e Portishead) sono in bella evidenza, avanzano impetuosi, si agitano, frementi, senza tuttavia mai esplodere, mentre la voce della van Giersbergen si attorciglia all’anima, come un serpente pronto a sferrare il suo attacco. Tutto fin qui è oscurità, disagio, sprofondo malinconico.

Con "Broken Glass" c’è una piccola svolta: la melodia è di quelle che si mandano a memoria immediatamente, la voce della leader è dolcissima, quasi una carezza, e anche se in sottofondo rumori e scariche elettriche sferzano la linearità del brano, le atmosfere si fanno più sognanti, fino a esplodere nel melodramma di un travolgente assolo di chitarra finale che starebbe benissimo in un disco dei Sigur Ros.

Con la successiva "You Learn About It" la tensione scema ulteriormente in una melodia pop orecchiabile, la musica riacquista leggerezza, libra verso l’alto, e attraverso la coltre nebbiosa si intravedono finalmente i colori del cielo, mentre Anneke dà prova, di nuovo, di tutte le sue impressionanti capacità vocali.

 

Se la title track torna a immergersi in acque limacciose e la malinconia è di nuovo la protagonista assoluta di una canzone che evoca i Cranberries più cupi, quelli, per intenderci, del postumo In The End, "We Just Stopped Breathing" è l’episodio più sperimentale del lotto, il cantato è evanescente, quasi spettrale, il pianoforte disegna dissonanze, la ritmica pesca ancora dal trip hop, e la seconda parte del brano, con quella tromba e le disturbanti rarefazioni, introduce atmosfere elusive alla David Sylvian. "Monsters" è, invece, senza ombra di dubbio, la canzone più rock di Souvenirs, in cui la band sembra finalmente rilasciare parte della tensione accumulata precedentemente in un ritornello il cui gancio melodico, sballottato dentro un groove trascinante, è di quelli che si cantano a squarciagola fin dal primo ascolto.

Dopo "Monsters" arrivano due brani figli della stessa idea: "Golden Grounds" e "Jelena" rallentano il passo, sono oscuri, cupi, disperati, e vestono entrambe abiti quasi industrial. Chiude "A Life All Mine", una ballata scorbutica ed elettronica, in cui la van Giersbergern duetta con Garm, il cantante degli Ulver. Una canzone, questa, decisamente ostica, che necessita svariati ascolti perché ci si renda conto che l’intreccio delle voci, in prima battuta respingente, funziona in realtà benissimo, perfetta chiosa di una disco che, anche sul finale, rilascia un senso di sinistra inquietudine.

 

A distanza di vent’anni, Souvenirs è un’opera che fa ancora discutere i fan della band, eppure il tempo trascorso mette ulteriormente in luce l’ispirazione altissima di un gruppo che ha avuto il coraggio di dire molte cose diverse durante la sua lunga carriera. Per chi scrive, questo disco, insieme a Mandylion e Nighttime Birds, è probabilmente il vertice della discografia della band olandese e, in senso più ampio, a volerlo inserire in una categoria, probabilmente uno dei dischi di “progressive” più interessanti e avvincenti del nuovo millennio. Una riscoperta consigliatissima a tutti coloro che sono disposti a misurarsi con una musica svincolata da tutto, tranne che da una fremente e inarrestabile creatività.