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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
30/09/2019
Jason Isbell
Southeastern
Southeastern è un disco autunnale, vestito di pallido sole, di vento, di passeggiate all'alba, di foglie che danzano nell'aria e si posano sui nostri passi, secche reminiscenze di una vita passata, che una foto in bianco e nero ha immortalato per sempre.

Un Jason Isbell pettinato, sbarbato, elegante nel suo completo scuro, ci guarda in un intenso primo piano di copertina. Una foto certamente bella, ma che non ci trasmetterebbe nulla di particolare se non fosse per quegli occhi tristi. Occhi di chi ha dovuto spalare tonnellate di merda per poter tornare a guardare l’azzurro del cielo, di chi ha vissuto intensamente ogni istante, di chi ha conosciuto l'abisso e quindi una lenta resurrezione. La fuoriuscita dai Drive By Truckers (tre dischi e anni di lunghissime ed estenuanti turné), il divorzio dalla prima moglie Shonna Tuker, la scommessa di una carriera solista, la scimmia dell'alcol che ti afferra alla gola e non ti molla, il dolore della solitudine, l'amore ritrovato, un nuovo matrimonio con Amanda Shires, e poi finalmente, la libertà dal vizio, il ritorno a una vita normale.

C'è tutto in quella foto di copertina: un uomo ripulito ma anche un passato che ha lasciato strascichi, cicatrici e ferite ancora sanguinanti, la speranza del riscatto e il ricordo della perdizione. Le dodici canzoni di Southeastern sono esattamente come gli occhi di Isbell, ci raccontano quel passato, quella tristezza, gli abusi dell'alcol, un nuovo inizio. Piccole storie che sono come confessioni, le parole che dispiegano i lembi di un sudario ed espongono le piaghe, l'anima martoriata di un uomo che è ancora vivo, a dispetto di tutto.

Questa è la sincerità di chi non ha più nulla da nascondere e da perdere, di chi vuole lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare la vita proprio dove inizia l'arte, la musica, la forza taumaturgica del rock. Non ci sono lacrime, né autocommiserazione, solo una maturità compositiva che scarnifica la malinconia, che preferisce raccontare invece che spiegare, trovare un motivo per ripartire (I've grown tired of traveling alone, won't you ride with me, won't you ride? il country agrodolce di Traveling Alone) invece che recriminare.

Sono canzoni pervase da dolorosa quiete, accese talvolta da antiche scintille southern (la possente Super 8), dal passo appena accelerato del folk rock (Stockholm) o dalla spinta vitale di una sferragliante elettricità (Flying Over Water). Brevi intermezzi, però, quasi fossero una voce a stento trattenuta in un dialogo dai toni intimi e confidenziali. Ed è proprio attraverso la dimensione acustica che Isbell riesce a raccontarsi al meglio, pennellando fragili bozzetti che, ascolto dopo ascolto, divengono grandi canzoni, di quelle da serbare nel cuore per una vita intera: i fantasmi della dipendenza nell'iniziale Cover Me Up, la crepuscolare Live Oak, il pianoforte discreto e nostalgico di Songs That She Sang In The Shower, il lirismo neilyounghiano di Yvette, il pugno allo stomaco di Elephant, storia sgomenta di malattia e morte. 

Southeastern è un disco autunnale, vestito di pallido sole, di vento, di passeggiate all'alba, di foglie che danzano nell'aria e si posano sui nostri passi, secche reminiscenze di una vita passata, che una foto in bianco e nero ha immortalato per sempre. Come gli occhi tristi di Jason Isbell che si aggrappano alle nostre anime per non lasciarci più.


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