È un giorno qualsiasi del 1972. Erik Lee Purkhiser (classe 1946, cantante dilettante in cerca d’identità e non solo, appassionato di b-movie horror, sci-fi e di romanzetti pulp), mentre cazzeggia strafatto sulla sua motocicletta lungo le strade di Sacramento, California, si imbatte in una autostoppista dai biondi riccioli che indossa (a detta di lui) “un paio di attillatissimi fuseaux bicolore” e che risponde al nome di Kristy Marlana Wallace, classe 1953, anche lei appassionata di rock e b-movie e soprattutto di sesso (si è prestata più che volentieri a un paio di comparsate in filmetti soft-core) e droghe. Inutile dire che i due si rendono più o meno immediatamente conto di essere (stra)fatti l’uno per l’altra. Quando poi scoprono di essere iscritti allo stesso corso presso il Sacramento City College, Cupido scocca la freccia definitiva che li legherà indissolubilmente fino al 4 febbraio 2009.
Questo, in sintesi, il seme che pochi anni dopo germoglierà fino a trasformarsi in quel magnifico, malato e sfolgorante fiore di puro rock’n’roll che saranno i Cramps.
Prima, però, ci sono anni duri, vissuti di espedienti il più delle volte non propriamente leciti in un minuscolo monolocale dove i due hanno affastellato, oltre a bizzarri giocattoli erotici, locandine di film affissi alle pareti, vari oggetti di dubbio gusto e montagne di 45 giri anni Cinquanta: reliquie sacre di una tradizione della quale si dichiareranno implicitamente novelli sacerdoti, aggiornandola quel tanto che basta a non passare per nostalgici ai tempi che corrono, intrisi di attitudine punk e sensibilità proto-goth. Nel frattempo, vanno costruendo l’immaginario iconografico del futuro “psychobilly”, fatto di estetica kitsch e orrorifico glamour.
Erik e Kristy decidono quindi di ribattezzarsi Lux Interior e Poison Ivy Rorschach e Sacramento, dicono, non è più un luogo che fa per loro (o, secondo altre fonti, sono le autorità cittadine a non gradire troppo la loro disturbante presenza).
La coppia si trasferisce nell’Ohio, e precisamente ad Akron, dove rimarrà per i due anni successivi, metabolizzando gli stridenti olezzi post-industriali della nascente scena “new wave” statunitense che, seppure in fase embrionale, cominciava a lanciare i primi dissonanti vagiti grazie a Devo, Pere Ubu e, prima ancora, Rocket From The Tombs. Per quanto il sound e l’estetica di queste band fossero lontanissime dalle idee dalla malsana coppia, fecero nondimeno scattare la molla definitiva: è qui che Lux e Ivy (che aveva nel frattempo iniziato a dilettarsi nel martoriare la sei corde e abbreviato il nome d’arte eliminando l’ampolloso “Rorschach”) decidono di mettere in piedi una band. Hanno già in mente il nome: The Cramps, vale a dire “crampi”, “spasmi”, “contrazioni”, termine che nello slang americano si utilizza anche per i dolori mestruali. Nei dodici mesi successivi non ci sarà altro che il nome, giacché ad Akron non trovano complici affini alla loro idea di rock’n’roll primitivo, tribale e senza pretese intellettuali.
Nel frattempo (siamo a cavallo tra il 1974 e il 1975), da New York arrivano i primi echi emessi di un’eclettica fauna di musicisti che ruota attorno a un minuscolo e maleodorante locale situato al 315 di Bowery Street, nella Lower East Side di Manhattan: il Country Blue Grass Blues and Other Music For Uplifting Gourmandizers, ai più noto come CBGB & OMFUG o semplicemente CBGBs. Gli echi di cui sopra sono quelli di Ramones, Television, Patti Smith e Blondie. Impiegano pochi secondi i due innamorati a capire che New York (e soprattutto i suoi bassifondi) è il luogo che fa per loro, e nel novembre del 1975 vi si trasferiscono.
I Cramps smettono di essere un’ipotesi poche settimane dopo il trasferimento nella Big Apple, quando Lux e Ivy stringono amicizia con un oscuro e poco raccomandabile commesso di un negozio di dischi che di nome fa Greg Beckerleg e che si ribattezzerà Bryan Gregory. Quando si presenta alla prima seduta di prova ed estrae dalla custodia una chitarra anziché un basso, la subitanea delusione della coppia viene altrettanto subitaneamente sostituita da un deciso “Ok, fanculo il basso, suoneremo con due chitarre”. Resta però il problema del batterista. Che viene risolto, per così dire, in famiglia: la sorella di Gregory si accomoda dietro le pelli e comincia a picchiare un minaccioso, psicotico tam-tam in quattro. Ribattezzatasi Pam Ballam sarà la prima di una (troppo) lunga serie di batteristi.
La band prova nello scantinato del negozio nel quale Gregory lavora. Principalmente cover e abbozzi (pochi) di brani originali. Sarà una delle caratteristiche fondamentali dei Cramps il ripescaggio di occulte perle rock’n’roll degli anni Cinquanta.
(Le registrazioni risalenti all’estate/autunno del 1976 si possono ascoltare su How To Make A Monster, doppio CD composto da rarità, demo e due concerti completi, pubblicato dalla Vengeance Records nel 2004).
Giusto il tempo per capire come attaccare e finire assieme, che la Ballam sparisce. I tre reclutano in fretta e furia tale Miriam Linna, la quale, secondo quanto narrano le leggende, la batteria non l’aveva mai nemmeno vista. Ma non c’è tempo per queste sottigliezze, giacché Lux e Ivy sono riusciti a convincere Hilly Kristal, proprietario del CBGB, a far suonare la band nella serata del 1 novembre 1976 come opening act dei Dead Boys. È l’esordio “ufficiale” e i Cramps, accolti da un discreto successo nonostante l’approssimazione tecnica, l’inesperienza e le immancabili ingenuità del caso, diventeranno una presenza fissa del locale e della scena che attorno ad esso ruota.
Il live act viene rodato e affinato grazie a decine di concerti e i Cramps cominciano a costruirsi una certa fama nell’underground newyorkese, aiutati anche dall’ingresso di un nuovo batterista al posto dell’incolpevole Linna: questa volta è un batterista vero, che risponde al nome di Nick Knox, ex Electric Eels.
Il sound elementare, abrasivo, sporco e urticante fa breccia nel cuore della scena punk. Sul palco, Lux si dimena come uno psicopatico depravato, Ivy, bellissima e provocante, suona le uniche tre note che ha imparato su una Dan Armostrong in plexiglass, Gregory è il macabro pusher luciferino, ciuffo biondo cadente da un lato e sigaretta tra i denti, che scortica le orecchie grattugiando una sei corde a pois. Il tutto è tenuto insieme a gran fatica da Knox, che pesta con foga sciamanica un backbeat tribale: ascoltarli dal vivo è come immergersi nel brodo primordiale del rock’n’roll.
I Cramps inquietano, a tratti fanno paura. Anche perché non si riesce a distinguere il confine tra realtà e spettacolo. Fanno sul serio o è un’altra stramaledetta pagliacciata sensazionalistica? Fatto è che questa energia selvaggia ti prende le gambe e ti fa venir voglia di dimenarti scompostamente senza posa…
Questo e altro noterà Alex Chilton nel 1977, sorprendendosi a ballare scompostamente e senza posa (appunto) a un loro concerto al Max’s Kansas City. È proprio quell’Alex Chilton lì, quello di “The Letter” dei Box Tops, quello dei Big Star – artista geniale ma snobbato dal grande pubblico, che in quel ’77 era tornato a New York in cerca di nuove ispirazioni, attratto dal rumoreggiare che si faceva attorno al CBGB e alla “nuova” musica. S’innamorò seduta stante dei quattro “deviati”, al punto da portarli agli Ardent Studio di Memphis e far loro incidere una manciata di pezzi, quattro dei quali andranno a formare i primi due singoli.
In mancanza di un contratto discografico, Lux e Ivy creano una loro etichetta, la Vengeance Records, e nell’aprile del 1978 pubblicano il primo 45 giri. Sul lato A una cover opportunamente “barbarizzata” di “Surfin’ Bird”, brano dei Trashmen datato 1964; sul lato B un’altra cover, “The Way I Walk” di Jack Scott.
Mentre prosegue implacabile l’attività live – che include anche un’esibizione divenuta leggendaria, e per nostra somma fortuna filmata, al California State Mental Hospital di Napa – il gruppo prepara l’uscita del secondo 45 giri per novembre.
“Human Fly” è il primo brano originale pubblicato dai Cramps ed è un piccolo gioiello di rock psicopatico, con la chitarra fuzz scartavetrata da Gregory a fare da sfondo alle (solite) due note del riff suonato da Ivy e i fastidiosi bzz bzz di Lux, amplificati poi da Chilton in fase di missaggio. Sul lato B una cover di “Domino” di Roy Orbinson. Una meraviglia.
Pur non entrando nelle classifiche di Billboard (e ci mancherebbe altro), i due singoli si fanno largo sgomitando in ambito underground e arrivano alle orecchie di Miles Copeland, boss della I.R.S. Records. Siamo alla fine del 1978, e sotto il naso dei Cramps viene piazzato un contratto discografico che – ahi loro – non esitano a firmare.
Qualcosa comincia a muoversi anche oltreoceano. La Gran Bretagna, da sempre attenta e ricettiva alle novità, ospita agli inizi del 1979 i Cramps per due mini-tour promozionali, il primo come opening act dei Police, il secondo come attrazione principale.
In giugno la I.R.S. pubblica Gravest Hits, EP contenente i quattro brani già pubblicati sui precedenti singoli con l’aggiunta di una cover di “Lonesome Town”, brano scritto da Baker Knight e portato al successo da Ricky Nelson nel 1958. Si tratta probabilmente del primo documento sonoro di quel sottogenere che prenderà il nome di psychobilly, fusione di “psychosis” e “rockabilly”, e che sarà perfettamente delineato nell’album d’esordio della band, beffardamente intitolato Songs The Lord Taught Us.
Registrato con Chilton in consolle ai Philip Record Studios di Memphis (vi dice qualcosa?), “Le canzoni che il Signore ci ha insegnato” fa la sua comparsa sugli scaffali dei negozi statunitensi nell’aprile del 1980 per l’etichetta I.R.S. (e per la Illegal di Miles Copeland in Gran Bretagna). Ustionò non poco, ai tempi, il composto sonoro fatto principalmente di garage e rockabilly filtrati da un colino punk a maglie strette per non far passare il grossolano antagonismo tipico del periodo: il mondo dei Cramps era un mondo a parte, a tratti anche fumettistico ma sempre libero da qualsivoglia forma di critica politica o protesta sociale. Nel mondo crampsiano, degenerato, parodistico, truculento al punto da risultare spesso comico, la corporeità è elemento fondante e l’equilibrio si regge su continue onde d’urto che richiamano certo tribalismo ancestrale; più che il suono di una batteria sembra di sentire il rumorio di ossa umane percosse da uno stregone in trance che si riverberano nella giungla suburbana, mentre lo scontro incessante (più accademicamente si dovrebbe dire l’interplay) tra le due chitarre - una, quella di Ivy, intenta a tracciare riff e tremolii saccheggiati a piene mani da Link Wray e simili, l’altra, quella di Gregory, protesa verso un rumorismo “white” figlio d’incestuosa copula tra Velvet e Stooges – produce formidabili secrezioni soniche, a tratti anche inedite; in questa fanghiglia, uno sguaiatissimo Lux intona salmodie che rimandano echi catacombali.
Sfilano scorticando i padiglioni auricolari danze macabre (“I Was A Teenage Werewolf”, “Sungalsses After Dark”), ossessioni perverse (“Fever”), divertissement più dementi che demenziali (“The Mad Daddy”, “I’m Cramped”), gioielli di puro “ultra-rock” (“Garbageman”, “Rock On The Moon”) e assortimenti vari di memorabilia dei tempi che furono. Miracolosamente (File Under Sacred Music si legge sul retro di copertina…), i Cramps sembrano immuni dal malocchio revivalistico, forse anche grazie all’energico ripudio di qualsiasi velleità intellettuale o anche solo agiografica. Che suonino cover o brani originali (avete notato che non ho fatto distinzioni tra le une e gli altri?), poco importa: nel momento in cui suonano un brano, i Cramps se ne appropriano come se non lo avesse mai suonato nessun altro (“Strychnine” non suona forse come i Sonics che fanno una cover dei Cramps?).
Per quanto innegabile che il formato loro più congeniale sia il 45 giri (o al massimo l’EP), Songs The Lord Taught Us rimane una pietra angolare, un tassello fondamentale della popular music del Novecento. Il successivo Psychedelic Jungle del 1981 (con l’ex-Gun Club Kid Congo Powers a sostituire un defezionario Bryan Gregory che nel frattempo si era letteralmente “brinato” il cervello) è di caratura appena inferiore. Più levigato e accessibile, anche da un punto di vista formale, mostra segni di “temperanza” della follia e nel contempo esala aromi acidi: i tempi rallentano, si fanno a tratti paludosi, catatonici, le depravazioni rumoristiche si danno parvenza d’ordine e Lux parvenza di cantante. Benché nel complesso meno ispirato (e riuscito) del predecessore, nondimeno brillano al suo interno almeno tre capolavori assoluti (“Goo Goo Muck”, “Don’t Eat Stuff Off The Sidewalk” e “The Crusher”) e artefatti di qualità più che pregevole.
Da qui in avanti, la vicenda si fa intricatissima, soprattutto a causa di interminabili beghe legali con l’etichetta che impediranno alla band di pubblicare alcunché fino al 1985 (sbarcheranno il lunario grazie ai concerti), anno in cui verrà dato alle stampe A Date With Elvis, forse l’ultimo disco importante dei Cramps; tutte le pubblicazioni a seguire non saranno che pallide copie (quando non addirittura involontarie e grottesche autoparodie) dei good old times.
Per chi volesse possedere l’imprescindibile crampsiano: fondamentali, oltre ai tre album citati, la raccolta …Off The Bone (1983) che racchiude tutti i singoli del periodo aureo e il live Smell Of Female con brani registrati al Peppermint Lounge il 25 e 26 febbraio 1983.