E’ stato un anno davvero importante per la cantante dei Hands Off Gretel. Prima, il secondo album della band, I Want The World, che ha avuto un ottimo riscontro di pubblico e critica, e adesso, un disco solista, l’esordio con brani interamente originali, visto che Lauren Tate, in passato, aveva già pubblicato un paio di album di cover e un paio di Ep.
Songs For Sad Girls è un progetto decisamente ambizioso, e nasce dall’idea della ventiduenne britannica di uscire dalla sua comfort zone e di provare a fare da sola. E non è solo un modo di dire, visto che il full lenght esce sotto l’egida della sua casa discografica, la Trash Queen Records, ed è stato quasi interamente registrato nello studio di casa sua, senza alcun aiuto esterno: scrittura, registrazione, produzione e artwork sono esclusivo frutto del suo talento.
Un disco che si allontana dalla rabbia punk della casa madre e che sceglie, invece, la strada della ballata elettro-acustica, di arrangiamenti scarni ma non scheletrici, dell’intimità raccolta di voce e chitarra acustica, di una narrazione costruita sul racconto e la riflessione. Come intuibile dal titolo, Songs For Sad Girls parla di ragazze, di femminilità e sensualità, di storie d’amore non sempre appaganti, di gioie e profonde delusioni, di una società che pensa alla donna solo come oggetto sessuale o la marginalizza. E lo fa, con quello sguardo di copertina, ammiccante, torvo e provocatorio, in un fermo immagine in cui la ribellione sovrasta un evidente pungolo di tristezza, in un mix fra languida femme fatale e grintosa riot grrrl, epigono di Amy Winehouse, Pink e Courtney Love.
Canzoni che convivono fianco a fianco, diverse fra loro, eppure legate da uno stile ben preciso, da idee brillanti, da passionalità e una forte carica impressionista. E poi c’è quella voce, davvero stupefacente, che miagola, graffia e urla, con interpretazioni che sfiorano talvolta il confine del melodramma, eppure talmente sincere e convincenti da far sembrare anche le canzoni più prevedibili un assalto all’arma bianca al cuore dell’ascoltatore.
Apre il disco Mondays Make Me Feel So Awful, un minuto di cacofonia, tra voci, chitarra acustica e rumori di fondo, che viene chiosato da una frase in italiano, “mi fai del male, ma ti amo”, esplicita rispetto alle contraddizioni contenute in liriche in cui l’amore è tutto e il contrario di tutto. La successiva Can’t Keep My Hands Off You, parla di lui, che è droga e diavolo, di un amore tossico e di un’attrazione che cannibalizza la volontà, e per un istante è quasi impossibile non farsi tornare in mente l’appassionata Liz Phair di Exile in Guyville.
In What About The Kids, la dolce melodia iniziale è la miccia per accendere un ritornello in cui la Tate rappa con consumata maestria, guardando al mondo delle armi attraverso gli occhi di una bimba la cui innocenza è stata violata per sempre (“Papà, mi hanno sparato con una vera pistola, non come quella con cui abbiamo giocato per divertimento. E quella pistola, assomigliava molto alla tua, quella che hai detto ci avrebbe sempre protetto”).
Lauren, poi, gioca con gli anni ’50 e ‘60 (d’altra parte uno dei suoi album precedenti, Love Song, coverizzava grandi brani di quegli anni), ma lo fa col suo timbro inconfondibile, con audacia e sfrontatezza (Naturally Born Bad, He Loves Me), parla del mito del corpo, della ricerca della taglia 0 e delle umiliazioni subite dalle donne su internet a causa del proprio fisico (Miss American Perfect Body), instillando inusuale dolcezza e un pathos, sottolineati da un sobrio arrangiamento d’archi, e poi, chitarra acustica alla mano, racconta in modo spietato la storia d’amore fra un’adolescente e un uomo predatore, il tormento, l’angoscia, la disperazione di una giovane donna che deve fare i conti con sentimenti sviliti e frustrati (Rock‘n’Roll Radio).
In questo esordio, non c’è un solo momento che non appaia credibile e intenso, e se alcune canzoni sono belle, altre sono addirittura bellissime. Il blues dissonante di Bad Egg Blues suona pericoloso come un cane rabbioso che si aggira nel cuore della notte, Monsters è uno sprofondo cupo di disperazione patologica pervaso da una tensione destabilizzante e How Fucking Dare You è una feroce invettiva contro un amante traditore, che lascia attoniti. Tre brani che sono il fiore all’occhiello di una scaletta senza sbavature, opera di un’artista già affermata, che ha però scelto di seguire una strada parallela più distante dalle sue origini. Strumenti acustici ed elettrici che si piegano alla ballata, riletta però da un’insopprimibile indole punk e abrasa da una voce che scartavetra ogni residuo di zucchero, in nome di una consapevolezza tanto rara quanto preziosa.
Ci sono tante brave cantanti in circolazione, anche più brave tecnicamente, per carità, ma come interpreta le sue canzoni questa ragazza, con quanta grinta e quanta sincera passione, è qualcosa che lascia senza parole. Uno dei migliori dischi ascoltati quest’anno.