Se il Jazz è considerato da più parti un genere di nicchia, di sicuro gli Snarky Puppy rappresentano una singolare eccezione: il collettivo messo in piedi da Michael League si è negli anni ritagliato una fetta consistente di estimatori, un pubblico trasversale sia per età sia per ascolti, facendo breccia sia nei cuori degli appassionati competenti, sia del pubblico più generalista. Possiamo definirli una band mainstream? Non guardando in assoluto i numeri, ma è indubbio che sia così, nel momento in cui la paragoniamo ad altri act che fanno a grandi linee la stessa proposta.
La stessa cosa accade in Italia, dove il gruppo texano ha da tempo un seguito affezionato, tanto che ci è sempre venuto a suonare con grande regolarità e, dato non da poco, esibendosi anche in città che non siano per forza Roma e Milano. Dopo il tour de force della scorsa estate, quando hanno suonato quattro volte, tra Palermo, Udine, Roma e Firenze, la più breve porzione invernale di questo tour europeo li costringe a ripiegare su un solo spettacolo.
Questa volta è Brescia la sede prescelta ed è una scelta piuttosto inusuale, per certi versi un po’ rischiosa (non è un segreto che appena si esce da Milano l’affluenza cali drasticamente) ma che alla fine risulterà pagare alla grande. Il Gran Teatro Morato, impianto moderno e confortevole, dotato di ottima acustica e situato immediatamente nei pressi dell’autostrada, ha fatto registrare il tutto esaurito: un’ulteriore conferma del fatto che gli Snarky Puppy sono molto più popolari di quanto ci si aspetterebbe.
Questa sera, oltretutto, è l’ultima data del tour e si capisce abbastanza presto che hanno voglia di divertirsi. Sul palco sono in dieci: si definiscono un collettivo proprio perché la formazione è abbastanza aperta, tutti i membri hanno diversi altri progetti e partecipano ai vari tour sulla base delle rispettive disponibilità. A questo giro ad esempio manca il violinista Zach Brock, cosa che è all’origine di un divertente siparietto, con Michael League che, prima dell’esecuzione di “Honiara”, un brano appunto composto da lui, dice: “Non occorre che applaudiate, potete anche fischiarlo, se volete, visto che stasera non si è presentato”.
Il concerto si apre con “Keep It On Your Mind” e la scaletta è totalmente incentrata sull’ultimo Empire Central, disco di inediti registrato dal vivo nel corso di otto differenti serate a Dallas, alla Deep Ellum Art Company.
Si tratta di brani dalla grande forza e immediatezza, dove la componente Funk è molto più presente rispetto ai lavori precedenti (influenze di Weather Report e Parliament-Funkadelic fanno capolino a più riprese) e dove il nucleo tematico, spesso portato avanti dai fiati, è facilmente individuabile e spesso reiterato in un crescendo di intensità.
Fondamentale è il groove, con il lavoro perfetto di Jamison Ross alla batteria, affiancato dal percussionista di origine argentina Marcelo Woloski, per un tandem di grande efficacia, a cui si aggiunge un Michael League discreto ma indispensabile (solo un momento da protagonista per lui, durante i bis), sempre al servizio dell’economia dei brani. La chitarra non è elemento essenziale, anche se il lavoro di Mark Lettieri su ritmica e fraseggi è sempre ottimo, per non parlare dei pochissimi ma eccellenti spazi che si ritaglia per gli assoli. A livello solistico, appunto, gli Snarky Puppy danno risalto ai fiati, col trio Bob Reynolds, Chris Bullock, Mike Maher costantemente alla ribalta, anche se non sempre impiegati in contemporanea. Importanti anche le tastiere, che garantiscono anche quel tocco di elettronica in più, che a volte sfocia nell’RNB: merito soprattutto di due musicisti eclettici ed appariscenti come Shaun Martin e Bobby Ray Sparks II, mentre Justin Stanton si concentra di più sul piano elettrico e quando serve dà manforte ai fiati con la sua tromba.
Le soluzioni in campo sono dunque molte ma alla fin fine i nostri preferiscono puntare sul coinvolgimento del pubblico, improvvisando relativamente poco (i pezzi sono nel complesso di breve durata, dilatatati quel tanto che basta, senza esagerare) ed enfatizzando le parti più semplici, favorendo spesso battimani e producendosi in virtuosismi senza dubbio piacevoli, ma con la sensazione che siano spesso eseguiti per provocare applausi.
C’è un momento toccante, quando Michael League ricorda Bernard Wright, tastierista tra i più importanti musicisti Jazz degli ultimi anni, che ha partecipato alle session di Empire Central e che è morto subito dopo, investito da una macchina nel maggio di quest’anno. Michael è sensibilmente commosso mentre ne ripercorre per sommi capi la carriera, nominando alcuni dei musicisti con cui ha suonato (da Marcus Miller a Miles Davis) e dicendosi triste per la sua scomparsa ma allo stesso tempo grato per aver condiviso il palco con lui e per tutta la musica che ha lasciato. Gli dedicano “Trinity”, momento bellissimo, che è anche uno dei pochissimi episodi malinconici dello show.
Nei bis l’atmosfera si fa nuovamente allegra, con l’esecuzione di due classici come “Shofukan” e “Lingus”, che sono al centro, questa volta sì, di lunghissime improvvisazioni, col gruppo che pare intenzionato a voler continuare la festa e proprio non ne vuole sapere di lasciare il palco. Mattatori assoluti sono Bobby Sparks, che ad un certo punto lascia la propria postazione, prende il microfono e veste i panni dell’MC, guidando il pubblico in rumorosi singalong sul main theme dei brani e filmando il tutto col suo telefono (verso la fine, quando gli altri sono impegnati in un’ultima rumorosissima Jam, filmerà soltanto); e poi Jamison Ross, a cui il pubblico poco prima aveva cantato gli auguri di compleanno, che alza il ritmo da dietro i tamburi e si esibisce anche in efficaci improvvisazioni vocali di stampo RNB.
Due ore e dieci di concerto, tecnicamente di livello altissimo, musicalmente affascinanti e furbescamente ruffiani all’occorrenza, con un pubblico letteralmente scatenato che ha sicuramente contribuito all’energia che i musicisti hanno sprigionato sul palco. Gli Snarky Puppy sono una garanzia e vederli dal vivo è un’esperienza da provare, indipendentemente dal fatto che vi piaccia o meno il Jazz. Non ci resta che aspettare che ritornino perché siamo certi che succederà.