È complicata la vita del western in questi tempi oltremodo moderni, spesso gli esiti più riusciti che scavano nel genere sono contaminazioni (Westworld), rivisitazioni autoriali molto marcate (Django unchained o The hateful eight), western in qualche modo laterali al genere (Appaloosa ad esempio) o molto distanti dal canone classico come questo Slow West, un western come dice il titolo molto lento, riflessivo, che qui in Italia non è riuscito a ritagliarsi il suo spazio nelle sale e che abbiamo potuto vedere grazie alla piattaforma Netflix.
Se è vero che Slow West, a parte la presenza di Michael Fassbender, avrebbe potuto avere poco appeal commerciale per richiamare il pubblico in sala, il mancato passaggio su grande schermo ha impedito agli amanti del genere di godere della splendida fotografia messa in scena da Robbie Ryan e soprattutto dei bellissimi panorami offerti dal film, parecchio distanti dal classico immaginario dello sporco west: molto verde, cieli infiniti, vegetazione ricca in forte contrasto con il mito del deserto e dei canyons. Proprio l'aspetto estetico rimane il più interessante nell'opera di Maclean che ripropone in modo atipico la violenza e il cinismo della vita del vecchio west, lo fa in maniera leggera, pensante, quasi simbolica, con ritmi blandi che si fanno sentire nonostante la durata davvero esigua del film non arrivi a contare nemmeno un'ora e mezza di minutaggio. Non è un film per tutti Slow West proprio a causa dei ritmi lenti, anche il protagonista è atipico per il genere; Jay Cavendish (Kodi Smith-McPhee) è quello che i pellerossa chiamerebbero un piedidolci, un ragazzino con l'indole da damerino poco adatta all'asprezza dell'ovest americano, un sognatore ingenuo non alla rincorsa di ricchezze o terre, nemmeno alla ricerca del sogno americano, Jay insegue semplicemente l'amore, la ragazza per cui ha perso la testa in quel di Scozia, la bella Rose Ross (Caren Pistorius). Per sua fortuna sulla strada incontra una sorta di fuorilegge dall'animo gentile, tal Silas (Michael Fassbender), che per un giusto prezzo si offre di scortare il giovane attraverso l'ovest fino alla piccola Rose, una donnina sicuramente più preparata di Jay a cavarsela in quel mondo selvaggio.
I due compagni di viaggio attraversano il Paese, i cavalli non galoppano mai, sono sempre al trotto lento, ci lasciano il tempo d'ammirare lo splendore dell'America (che in realtà è un po' Scozia, un po' Nuova Zelanda) di giorno, la poesia delle stelle la notte. Ma l'ovest, come l'est è un luogo duro, gli Stati Uniti si stanno facendo, costruendo, sulla violenza che Maclean ci mostra in maniera quasi grottesca, anche le esplosioni di questa violenza sono lente, distruggono l'innocenza, le vite, ma lasciano il tempo allo spettatore di rifletterci sopra e di prenderle anche con un tocco di leggiadria. Nel frattempo, l'insolito duo fa strani incontri, si avvicina piano al climax della pellicola che si risolverà con l'inizio di una nuova vita, ma solo per qualcuno, perché quell'America non è un paese per tutti, proprio come il mondo di oggi non è un mondo per tutti. In quella violenza, in quella selezione innaturale Maclean ci mette tutta la violenza e la selezione innaturale dell'oggi (leggi anche alla voce soldi).
Smith-McPhee e Fassbender sono una bella coppia agli antipodi e proprio per questo molto funzionante. Se per la sua rinascita il western deve passare anche da qui allora ben vengano film come Slow West, ma sono ancora convinto che di rinascita non si tratti e che il genere non sia ancora morto. Forse cova sotto la cenere aspettando il momento per un ritorno in scena fragoroso capace di riportare al vecchio western tutta l'epica di cui avrebbe bisogno; ci arriveremo, passo dopo passo, film dopo film.