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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
23/07/2018
Sir Lord Baltimore
Sir Lord Baltimore
In realtà la carriera dei Sir Lord Baltimore finì presto, da qualche parte negli sterminati undici minuti di Man From Manhattan, un tentativo di opus magnum che frana sulle sue stesse fondamenta...

Curioso caso di nepotismo rockettaro, dopo l’exploit di nicchia di Kingdom Come, i Sir Lord Baltimore imbarcarono in gruppo il fratellino di Louis Dambra, anch’egli chitarrista, rompendo l’equilatera simmetria del power trio per aumentare la carica metallica nella speranza di irrobustire il muro sonoro del loro Heavy Metal psicotico. Ne fece le spese il bassista Gary Justin, relegato ad un ruolo da comprimario, mentre, da parte sua, Louis si sentì autorizzato a concedersi prolissi assoli da guitar hero quale assolutamente non era, abbandonando la sintetica visione demente di Hell Hound o Pumped Up. Un sound sempre pregevole pur se più contaminato con pastosità AOR, ma se ci si mette anche John Garner a diminuire il tasso schizoide della voce, ecco che i fan più incalliti dello stoner archeozoico storceranno il naso.

In realtà la carriera dei Sir Lord Baltimore finì presto, da qualche parte negli sterminati undici minuti di Man From Manhattan, un tentativo di opus magnum che frana sulle sue stesse fondamenta, alternando velleità angeliche, acquerelli progressivi flautati, aborti di rock opera e silenzi imbarazzanti, che la portano a terminare su iterazioni sprofondate direttamente nella Valle della Noia. Un’epica fallita, maldestra, ambiziosa e senza sostanza che sotterrò del tutto la gloriosa avventura dell’album d’esordio. Con un’apertura del genere l’album appare segnato… soprattutto se a ruota segue una traballante versione psudo-funky di Where Are We Going con tanto di sax e Hammond, manco si fosse materializzata una cover band liceale di Sly Stone in versione ariana.

Peccato perché il resto dell’album è ben gestito, pur soffrendo sempre tremendamente il confronto con l’esordio. Dalla costola blacksabbathiana di Caesar LXXI, con vocalità alla Ozzy in bell’evidenza, ai riffoni dinosaurini di Chicago Lives e soprattutto Loe And Behold, fino alla definitiva Woman Tamer: uno stoner anni ’90, scolpito nella roccia, con chitarroni profondi, basso vibrante e struttura intricata. Blues for the Red Sun vent’anni prima. Homme e Oliveri ringraziano.

Vinile assai “svalutato” rispetto al primo album del gruppo; l’impressione è che con 60-70 euro e un po’ di fortuna sia lecito accaparrarsi una stampa USA (Mercury SRM 1-613). Esistono riedizioni recenti sempre della Mercury su vinile a 180g. Discreta la cover.

In CD è spesso accoppiato con Kingdom Come a prezzi a volte un po’ elevati.

 

Louis Dambra - Guitar  

John Garner - Vocals, Drums    

Gary Justin - Bass           

Joey Dambra - Guitar