Sono quasi quarant’anni (!) che i NOFX sono sulla scena, ma – riflettendoci bene – è ancora difficile inquadrarne del tutto la carriera. Idolatrati da una generazione di fan che li ha intercettati durante il punk rock revival post-Dookie e li ha di fatto eletti a prototipo di band ideale grazie a un filotto di album impeccabili come White Trash, Two Heebs and a Bean, Punk in Drublic e Pump Up the Valuum, i NOFX, rispetto ai loro contemporanei, sono anche quelli che hanno capitalizzato di meno: non hanno mai firmato per una major e non hanno mai avuto né una canzone né un album nella Top 40 di Billborad. E se a partire da The War on Errorism i loro dischi hanno iniziato a essere sempre più maturi e riflessivi (in special modo i recenti Self Entitled e First Ditch Effort), il senso dell’umorismo adolescenziale, i continui problemi con le droghe e le discutibili vicende personali hanno continuamente rimandato quel processo di crescita tanto necessario quanto temuto dai fan, che preferiscono preservare il simulacro della loro band preferita rendendo Fat Mike, Eric Melvin, Smelly ed El Hefe ostaggi dei loro personaggi – Fat Mike in primis –, bloccati tra l’essere e l’apparire, tra il voler esorcizzare i propri demoni e l’essere perpetuamente costretti a portare avanti uno spettacolo che non si capisce bene se li diverta ancora, con il cerone che ricopre la loro faccia da clown ormai sempre più sfatto.
Una situazione per certi versi paradossale, che rende l’ascolto di questo Single Album, il loro quattordicesimo lavoro in studio, ancora più surreale e alienante. Registrato ai Motor Studios di San Francisco con Bill Stevenson e Jason Livermore (Descendents, Rise Against, Alkaline Trio, Teenage Bottlerocket) nel corso degli ultimi due anni (il disco era pronto da un bel pezzo, ma è rimasto nel cassetto per lasciare spazio allo split realizzato con Frank Turner, West Coast vs. Wessex, ritenuto più adatto al clima teso del lockdown), Single Album in origine doveva essere un disco doppio composto da ventitré canzoni, con una prima parte più malinconica e oscura e una seconda più spensierata e leggera. Ma durante la lavorazione, non ritenendo tutte le canzoni all’altezza, Fat Mike ha cambiato idea e ha deciso di pubblicare solo la prima parte, cestinando la seconda, che non verrà in alcun modo recuperata, dal momento che il prossimo disco, a cui la band sta attualmente lavorando e che uscirà a novembre, sarà composto da brani nuovi.
Gli ultimi anni per Fat Mike non sono stati dei più facili. Prima ha dovuto affrontare il divorzio dalla seconda moglie Soma, poi un difficile rehab, diversi problemi di salute, la morte di alcuni amici e infine lo stop forzato di ogni attività a causa della pandemia da Covid-19. Non il massimo della vita quando uno è titolare di una casa discografica indipendente (la Fat Wreck Chords) con decine di artisti che vivono di concerti e una crew da mantenere, ha un festival di successo da organizzare (il Punk in Drublic) e un musical in partenza a Los Angeles (Home Street Home).
Non deve quindi stupire se per esorcizzare i propri demoni e silenziare le preoccupazioni Fat Mike si è affidato alla musica, proseguendo in qualche modo il discorso aperto con lavori estremamente personali come First Ditch Effort e You’re Welcome, il disco solista uscito un paio di anni fa a nome Cokie the Clown, mettendo da parte in più di un’occasione la classica formula SoCal punk in favore di nuovi generi e inedite strutture musicali. Ecco quindi spiegati i sei minuti post-hardcore dell’opener “The Big Drag”, costruita su un basso e una batteria marziali e con una struttura apparentemente sbilenca e dilatata; oppure lo ska-reagge di “Fish in a Gun Barrell”, dove la band cerca di fare ammenda dopo le infelici dichiarazioni rilasciate a seguito della Strage di Las Vegas del 2017. Ma c’è anche la cavalcata rock blues di “Doors and Fours”, uno sguardo cupo sulla scena punk di Los Angeles dei primi anni Ottanta (da non perdere il bellissimo videoclip che accompagna la canzone, interamente composto da materiale d’archivio del periodo), quando dozzine di persone, molte delle quali amiche di Mike, andarono in overdose a causa di una combinazione letale di farmaci; e la ballata “Your Last Resort”, che nel primo minuto e mezzo vede Fat Mike accompagnato dal solo pianoforte per poi essere raggiunto da tutta la band per un finale davvero da brividi.
Uno dei fili rossi che lega molte delle canzoni del disco è senza dubbio il divorzio tra Mike e la moglie Soma, al centro sia di “Your Last Resort” sia di “I Love You More Than I Hate Me”, nella quale il frontman rivela nel dettaglio le ragioni della loro separazione. E se “Fuck Euphemism” racconta con intelligenza del legittimo bisogno di ognuno di essere definito e rispettato come persona a prescindere dai propri gusti sessuali, in “Birmingham” Fat Mike parla di quello che le persone in recupero chiamano “momento di lucidità”, occorsogli quando, ritrovatosi a raschiare la cocaina dal pavimento dell’hotel, ha capito di essere un tossicodipendente e ha deciso di entrare in riabilitazione. Un’esperienza che ritorna anche in “Grieve Soto”, un elogio funebre dedicato all’amato fondatore degli Adolescents Steve Soto, scomparso nel giugno del 2018, quando a un certo punto della canzone Eric Melvin esorta Mike a essere «cauto, più rispettoso, meno odioso».
È un disco per nulla spensierato, Single Album, tanto che le due canzoni più leggere, per assurdo, sono “My Bro Cancervive Cancer” e “Linewleum”, la prima una storia di resilienza e la seconda una meta-parodia della loro canzone più famosa realizzata assieme agli Avenged Sevenfold, dove Fat Mike gioca con la melodia, gli accordi e la struttura dell’originale, mentre si chiede come mai abbia avuto così tanto successo un pezzo senza ritornello scritto in una manciata di minuti (prima di un finale dall’onestà quasi disarmante).
Insomma, Single Album sicuramente deluderà i fan talebani del gruppo, come è già successo con tutti i dischi da Wolves in Wolves’ Clothing in poi. I più ortodossi vorrebbero infatti che i NOFX replicassero all’infinito la formula che ha decretato il successo di Punk in Drublic e So Long and Thanks for All the Shoes e non perdonano alla band di aver pubblicato un disco che ospita canzoni già uscite altrove. Obiezione comprensibile, dal momento che “Fish in a Gun Barrel” e “Doors and Fours” sono state dei singoli digitali e “I Love You More Than I Hate Me”, “Birmingham” e “My Bro Cancervive Cancer” hanno fatto parte della serie 7” Of The Month, però bisogna ammettere che inserite in una cornice più ampia ne escono enormemente rafforzate.
A quanto pare, anche questa volta Fat Mike & Co., divisivi e poco accomodanti come sempre, hanno fatto di testa loro e deluso le aspettative di (quasi) tutti. Per il revival e la nostalgia del liceo ci sono i concerti – quando e se torneranno –, mentre i dischi sono tutta un’altra faccenda, che la cosa piaccia o meno. Loro sembra stiano iniziando ad accettare gli anni che passano con una certa serenità, e non sono mai stati così fieri di farlo come in Single Album. Ora bisogna capire cosa ha intenzione di fare il loro pubblico.