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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
24/06/2024
Marcus Miller
Silver Rain
Non solo fenomenale bassista e produttore di gran classe, Marcus Miller è un artista a tutto tondo e in “Silver Rain”, dato alle stampe nel 2005, evidenzia la sua eterogeneità. Il disco della maturità, a metà strada tra jazz elettrico e pop funk.

«Ho scritto la canzone “Silver Rain” pensando a come l’amore possa spazzare via dolore e paura. Ricordo una storia riguardo a centomila persone, presenti a un concerto in Italia, tutte con una candela accesa mentre Bob Marley cantava “No Woman No Cry”. Bob raccontò che il calore generato era incredibile. C’erano palazzi attorno ai lati dell’immenso prato dello stadio e le persone erano alle finestre, sempre con le candele accese. Un’immagine indescrivibile».

 

Marcus Miller sarà sempre ricordato per quel puro ed estroso jazz rock “Davisiano” che ha reso indimenticabile proprio con Tutu. Tuttavia in verità l’estroso bassista statunitense è pure un abile interprete e songwriter, un delizioso arrangiatore capace di far suo qualunque genere o brano.

Silver Rain è un disco preciso, studiato, coerente con la direzione che Miller si è dato una decina d’anni prima, da The Sun Don’t Lie all’official bootleg The Ozell Tapes, passando per il notevole M2, intenso e carico di contaminazioni sonore. Sicuramente questo lavoro lascia meno spazio al jazz, o ne adotta una concezione più moderna: risente fortemente dell’epoca in cui è stato concepito, ma spalanca in egual modo le porte all’avvenire, lasciandosi ascoltare anche parecchi lustri dopo. Così lo sforzo attuato alla ricerca di una grande varietà di atmosfere e di un sound d’avanguardia offre grandi risultati, rendendo difficile la catalogazione in uno spazio temporale e facendo raggiungere l’obiettivo dell’“eterogeneità ben amalgamata”, ossimoro quanto mai in voga quando si parla di world music.

Ci si sposta, infatti, dal rock soul di “Power of Soul”, una gemma di Jimi Hendrix straordinariamente rivisitata, al reggae della title song, con ospite Eric Clapton, ispirata da un poema dello scrittore Langston Hughes. E non manca il funk di pezzi come “Boogie On Reggae Woman”, del geniale Stevie Wonder, di “Girls and Boys” di Prince (con una stratosferica Macy Gray al canto) e della sua stessa creazione “Bruce Lee”, una assonanza tra l’expertise delle arti marziali e quello di musicisti virtuosi. Virtuosi del calibro, appunto, di Marcus Miller, che al basso fa ciò che vuole e come vuole. Slappa, strappa, arpeggia e incanta, non risparmiandosi neppure con i synth (“La Villette”, con Lalah Hathaway special guest, e “Paris”), il clavinet (“Frankenstein” di  Edgar Winter), le chitarre acustiche e l’Udu (“Intro Duction” e “Outro Duction”).

 

Il polistrumentista di Brooklyn, classe 1959, è celebre anche per le svisate al clarinetto basso e i classici “Moonlight Sonata”, meravigliosa composizione di Beethoven e l’estatica “Sophisticated Lady” di Duke Ellington giungono al momento giusto interrompendo alcuni frangenti di potente ritmica e introducendone altri più introspettivi.

Le autografe Behind the Smile e Make Up My Mind non fanno che confermare quanto di buono ci sia nell’evoluzione compositiva del buon Miller, il quale, memore della lezione di Miles Davis, ci porta in territori difficilmente toccati nel genere assecondando proprio il motto del grande trombettista citato, “Non suonare quello che già conosci, suona quello che non conosci”.

Anche “If Only for the Night” segue questo detto, con Marcus sorprendentemente al sax soprano e al moog, perfetta chiusura per un’opera carica di idee e particolarmente ispirata.

 

«Sento fortemente il desiderio di ascoltare ciò che accade nel mondo, dal punto di vista musicale, e cerco di assorbire le cose rilevanti per me, in modo da mantenere la mia musica fresca. È quello che ho sempre fatto, e New York è stato un luogo ideale per questo. Nonostante viva a Los Angeles, sono spesso a New York». Estratto da intervista di nextbop.com, 2022.

 

Ne ha percorsa ancora tanta di strada Miller, da Silver Rain ai giorni nostri. Vent’anni intensi, pieni di collaborazioni, album in studio (su tutti Reinassance, 2012 e Laid Back, 2018), ma sono soprattutto le sue esibizioni live, spesso immortalate su album e DVD, a lasciare a bocca aperta. Il suo desiderio di freschezza, l’ambizione di non ripetersi mai hanno consentito una continua evoluzione, alla ricerca del suono universale. E il suo recente coinvolgimento nella stesura di importanti colonne sonore, da Sidney (2022) a Candy Cane Lane (2023), dimostra l’ampio spettro di vedute dell’artista americano, sempre pronto a mettersi in gioco, consapevole che ad estro e virtù debbano essere abbinati inventiva e modernità.