I Dish-Is-Nein dal vivo spaccano il culo.
Non è un modo di dire.
È un dato di fatto.
Sabato 28 aprile, alla seconda serata del Neuropa Festival in Zona Roveri a Bologna, dopo una bella prova dei Temple Of Venus, dopo che le Client hanno sfracellato i maroni a tutti i presenti e prima dei The Young Gods che non ho visto (me ne farò una ragione), i Dish-Is-Nein hanno spaccato il culo.
Ma non in modo becero e volgare come si potrebbe evincere dalla mia becera e volgare affermazione. No. Hanno spaccato il culo con eleganza, stile e una elegia di suggestioni che dovrebbero essere ancora vive nel nostro DNA, e che invece, morte o agonizzanti, spiazzano e investono con una potenza iconoclasta[1] cui non siamo più abituati.
L’esibizione dei Dish-Is-Nein ci ha messo di fronte a un passato/presente/futuro che abbiamo dimenticato o che ci hanno fatto dimenticare: tra feroci provocazioni e poesia futurista, Cristiano Santini, Dario Parisini e Marco Maiani coadiuvati da Valeria Cevolani alla voce e Simone Bellotti, dimostrano di essere l’unica band italiana attualmente in grado di dare pienamente senso all’etichetta di “alternativa”, intesa in senso lato. Voglio dire, loro sono davvero alternativi. A tutto e a tutti. Lo sono da sempre, al punto che non sono mai stati capiti e accettati fino in fondo. Però, guarda caso, sono stati sempre perfettamente fraintesi, per non dire demonizzati. Almeno fino a quando non è arrivato Ferretti (Giovanni Lindo) coi suoi CCCP a riabilitarli pubblicamente, ovvero il Despota benevolo della scena “alternativa” italiana dell’epoca; e allora tutti a belare “be’, forse, ci eravamo sbagliati”. Sto divagando, e non mi sembra il caso di riaprire ferite che sì, hanno lasciato cicatrici ma non sanguinano più.
L’esibizione, dunque. Rispetto a quello a cui ho assistito l’altra sera, non ho tema di affermare che qualsiasi – e sottolineo qualsiasi – anemico gruppo indie italiano di oggi (fate voi il nome) e forse anche di ieri (sbizzarritevi) sembra un simpatico cucciolotto con la carica dietro la schiena ai provini di X-Factor; se pensate che questa affermazione sia troppo assolutista e tranchant, significa che non eravate lì con me l’altra sera[2] a farvi trapanare le orecchie e il cuore da “Crisi di valori”, da “L’ultima notte”, da una “Up Patriots To Arms” riarrangiata in chiave gotica, o a farvi prendere a mazzate sui denti da “Toxin”, “Addis Abeba” e “Milizia”, rese implacabili da una band tecnicamente ineccepibile (Parisini è un talento chitarristico d’eccezione) e da un Cristiano Santini che non ha nulla da invidiare, quanto a presenza scenica e carisma, a frontman ben più noti e blasonati.
Non è un concerto, è un assalto senza tregua che si consuma in un rituale del disincanto e getta ombre oscure su un pubblico frastornato rapito bombardato da suoni/immagini/filmati/luci che non lasciano scampo e non concedono un attimo di respiro, almeno fino alla conclusiva, algida ed elegiaca “Esilio”, scarnificata nei suoni fino a far vibrare di un’emozione ineffabile e sfuggente quelle corde ancestrali che la massificazione globale in atto nella nostra epoca vorrebbe rendere atrofiche e insensibili. Forse non tutto è perduto, forse c’è ancora gente che riesce a comprendere che la speranza in un futuro migliore non è nella direzione che i “poteri” ci stanno indicando: è nella direzione opposta.
L’altra sera i Dish-Is-Nein hanno proclamato (di nuovo) il loro non serviam; e questa volta non è caduto nel vuoto dell’ipocrisia creato dai finti indignati. L’altra sera, per la prima volta da molti anni a questa parte, la mediocrità è stata sconfitta.
Buon rinascimento a tutti.
[1] L’ho detto davvero?
[2] Oppure che siete democristiani, o del tutto assuefatti a X-factor e merda simile. Che in fondo è la stessa cosa.