Se non avete mai ascoltato Shout, fate questo esperimento, una specie di “blind test”.
Godetevi il primo disco, prettamente con il classico timbro di fabbrica Gov’t Mule, e poi passate al secondo senza guardare immediatamente chi saranno gli ospiti. Chiudete gli occhi, lasciate la musica fluire…
Quali artisti vi sareste aspettati al microfono in ciascuna canzone? Le ritenete scelte coerenti, azzeccate, deludenti o sorprendenti?
Potrebbe essere questa un’interessante chiave di lettura per analizzare questo insolito lavoro di Haynes e compagni.
Ma ricostruiamo e contestualizziamo un momento la questione tornando al 2012, inizio delle registrazioni in studio…
Warren e il resto del gruppo (il batterista co-fondatore Matt Abts, il tastierista Danny Louis e il bassista Jorgen Carlsson) stanno pensando a una stuzzicante novità per celebrare il loro decimo album e dare nuova linfa alla band.
Sì, perché in quasi vent’anni di vita hanno sfornato alcuni capolavori come l’omonimo album di esordio (1995) e Life Before Insanity (2000), disco in cui tra l’altro era presente per l’ultima volta il bassista storico Allen Woody, che morì poco dopo l’uscita dell’opera.
E questa tragedia scosse notevolmente il gruppo che fortunatamente riuscì a trasformare il dolore in qualcosa di meraviglioso con il mastodontico progetto The Deep End, praticamente durato tre anni con il Volume 1, Volume 2 e The Deepest End, a chiusura, formidabile, dal vivo.
Poi nei susseguenti dieci anni non sono mancati i guizzi, si pensi a High & Mighty, ma occorreva comunque dare una scossa al classico repertorio basato principalmente sulla vena artistica di Haynes.
Shout, nella sua unicità, consente di mantenere il sound consolidato del gruppo avvicinando una fetta di pubblico nuova, attirata dagli special guests: è composto da due album con le stesse undici canzoni, cantate da altri artisti nel secondo. Alcune tracce vengono allungate o accorciate a seconda del personaggio presente, ma la base musicale rimane a marchio Gov’t Mule, la differenza la fa la voce, o per meglio dire, l’interpretazione.
Harper è una vecchia conoscenza del gruppo e non stupisce più di tanto in World Boss, unico pezzo che rimane nello stesso ordine nei due dischi. La canzone è potente e il bravo Ben fa il suo, ci mancherebbe, ma la prima sorpresa arriva con Stoop So Low. Cavalcata rock tra Derek and the Dominos e Allman Brothers Band, diventa un pizzico funky grazie all’estro di DR. John che ruba la scena e la trasforma da par suo aggiungendo echi di New Orleans. Come può apportare diversità la performance vocale! La stessa cosa accade in Captured, capolavoro che strizza l’occhio ai Pink Floyd scritto in solitaria da Haynes. Nove torridi minuti in cui la band improvvisa e imperversa e che diventa un lamento di cinque dove Jim James crea l’atmosfera cara ad alcuni lavori dei My Morning Jacket.
Anche Whisper in Your Soul vive di nuova luce con Grace Potter, mentre l’incedere reggae di Scared To Live si adatta perfettamente al fantastico Toots Hibbert, vecchia conoscenza della band. Il suo impatto con la song è magico, ben aiutato dal drumming dolce e aggressivo di Matt Abts (no, non sono impazzito, questi due aggettivi stanno bene insieme perché rappresentano il suo modo di suonare, ascoltatelo…) e dal mago delle tastiere Louis.
Danny ormai è insostituibile, sa creare il mood giusto per i dischi dei Mule. Sono da enciclopedia delle sette note i suoi solo con l’organo in risposta alla chitarra di Haynes che pervadono When The World Gets Small, ballatona perfettamente adeguata per Steve Winwood, traccia finale del secondo disco.
Ben riuscito l’esperimento di abbinare Elvis Costello a Funny Little Tragedy che assorbe un che di punk.
Interessante anche Miles Kennedy per Done Got Wise (dove il basso di Jorgen Carlsson da solo fa la differenza), un po’ meno Ty Taylor in Bring On The Music, ma il vocalist dei Vintage Trouble non sfigura e ha un’anima. E Roger Glover incattivisce bene No Reward…
Ho lasciato per ultimo il musicista più ovvio, che non poteva mancare in quel periodo in un lavoro del gruppo. Warren è stato spesso ospite della Dave Matthews Band. Rimane nella storia la chilometrica versione di Cortez The Killer in The Central Park Concert in cui la sua chitarra ha incendiato gli animi della platea. Tale stima reciproca ha portato Dave Matthews a partecipare a questa insolita idea. E qui raggiungiamo un altro punto molto alto.
Warren Haynes ha dichiarato che l’operazione attuata in Shout ha influenzato molto il suo modo di cantare onstage questi pezzi. Si è trovato a utilizzare un’impostazione differente dalla sua, quasi a imitare gli ospiti del progetto. E in Forsaken Savior si respira qualcosa di eccezionale: la duttilità è regina. Il brano in questione potrebbe figurare in un’opera concepita da ognuna delle due band senza dubbi di identificazione e originalità. E’ calibrato perfettamente per ritmi e tonalità di entrambi i gruppi, notevole nonché inaspettato e sorprendente.
Concludendo i “ I Ragazzi del Mulo” hanno raggiunto l’obiettivo. Scegliendo artisti da loro stimati e riveriti che assecondassero e sentissero come propria questa idea, sono riusciti a dare uno stimolo al proprio repertorio.
Gli anni successivi verranno raccolti i frutti di tali collaborazioni con un’intensa attività dal vivo, vibrante come al solito. A ciò si aggiungerà un piacevole disco in studio (Revolution Come…Revolution Go, 2017) e, poco dopo (2019), acquisendo il titolo proprio da un brano di Shout, arriverà Bring On The Music, pregevole box set con cd e dvd che riprende il fantastico concerto al Capitol Theatre di Port Chester, nello stato di New York, tenutosi nell’Aprile del 2018.