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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
25/11/2019
Timothy Leary & Ash Ra Tempel
Seven Up
“Turn on, tune in, drop out” è il pensiero di Leary ridotto in un guscio di noce; liberarsi dai vincoli fisici, accordarsi col fluire di una realtà sovraindividuale e dimenticare, per ciò stesso, i lacci sociali che impediscono una vita autentica fu il credo dello psicologo di Harvard...
di Vlad Tepes

Ultimo capitolo della trilogia ordita da Rolf-Ulrich Kaiser, Seven up[1] si avvale della voce narrante di Timothy Leary (1920-1996) ripetendo, in tal modo, la struttura di Tarot e di Lord Krishna von Goloka, coi recitativi, rispettivamente, di Walter Wegmüller e Sergius Golowin. In virtù della personalità coinvolta, il disco, al netto delle benemerenze musicali, diviene paradigmatico di certi aspetti della controcultura di quegli anni.

“Turn on, tune in, drop out” è il pensiero di Leary ridotto in un guscio di noce; liberarsi dai vincoli fisici, accordarsi col fluire di una realtà sovraindividuale e dimenticare, per ciò stesso, i lacci sociali che impediscono una vita autentica fu il credo dello psicologo di Harvard che, consapevolmente o meno, ripercorreva i diuturni tentativi dell’uomo di emanciparsi dalla dannazione del principium individuationis: litanie, droghe, digiuni, flagellazioni furono da sempre il viatico per un annullamento delle coordinate spazio-temporali e il rifluire (attraverso il passaggio a stadi sempre più ‘evoluti’ di coscienza) in entità sovraindividuali (Dio, inconscio collettivo, verità archetipica, Nulla …). In realtà Leary, abbronzato e sorridente, col bell’aspetto da istruttore di tennis fedifrago, fu un teorizzatore mediocrissimo, quando non goffamente bislacco, e un incosciente di primo livello. Egli volgarizzò l’uso di sostanze che, svincolate da uno stretto controllo medico, finirono per distruggere (anche politicamente, poiché provocarono la reazione puritana – quindi bene accetta – del Sistema) quegli stessi aneliti di libertà che allora fiorivano spontaneamente come risposta alla massificazione in atto ed al turbocapitalismo incipiente. Di ben diverso spessore i pensieri di Albert Hofmann (1906-2008, il vero scopritore, nel 1938, della dietilamide, LSD 25[2]), che in un suo libretto[3], con sobrietà e sensatezza, oltre a rendere conto di incontri eccellenti (Aldous Huxley, Karl Kerényi, Ernst Junger), delinea i corni del dilemma:

  1. le sostanze allucinogene vanno necessariamente assunte in modo controllato.
  2. la risposta alla sostanza varia da paziente a paziente e può sfociare in una estatica beatitudine o in un horror trip angosciante (la variazione è dovuta a fattori psicologici, il cosiddetto set, ma anche a condizioni esterne, il setting, ovvero il luogo in cui consuma l’esperienza, i volti dei partecipanti al ‘viaggio’ …). La coscienza è interazione tra soggetto ed oggetto: poiché l’acido opera a livello biochimico sul cervello, ogni essere umano altera il proprio rapporto col reale e lo fa chiuso nella propria individualità; ogni più tenue sfumatura di coscienza, quindi, può potenzialmente esperirsi con tale droga. Non esistono viaggi collettivi, ma solo personali. Ogni singola esperienza può “assumere i tratti demoniaci del puro terrore” o sprofondare nell’unione mistica col Tutto o contemplare le infinite variazioni intermedie. L’abbattimento delle barriere tra soggetto conoscente e realtà[4] ci riconcilia, nell’esperienza più felice, con la Natura, la madre perduta, liberandoci dai rapporti di dominio che intratteniamo con Essa. Ne consegue la svalutazione del pensiero occidentale di origine greco-romana a favore di buddismo ed induismo (evidentissimi nella cultura lisergica).

Il che ci porta a brevi considerazioni:

  1. gli effetti della droga esaltano l’individualità, quindi sono antipolitici, disgregatori di un’azione contestatrice comune o, semplicemente, alternativa. La disfatta dei movimenti dei Sessanta è nota. Occorrerebbe una droga collettiva, ma a questo hanno pensato proprio coloro contro cui combattevano gli hippies: la propaganda pubblicitaria e mediatica è ora davvero globalizzante e totale. I pensieri, le estasi, l’immaginario, i desideri sono unici e planetari. Altro che il panteismo lisergico!
  2. Le droghe accompagnano i periodi di decadenza: esse sorgono quando decresce lo spirito sorgivo.
  3. Il decantato rifluire del soggetto nella realtà, l’unificazione del Tutto, il Nirvana lisergico, è una regressione. Durante il viaggio i sensi sono meno acuti, si prova indifferenza per il pericolo, l’attività intellettuale (ragionamento astratto, rammemorazione, capacità aritmetiche) crolla[5]; come nelle esperienze di deprivazione sensoriale, si è trasportati ad un grado umano minimo – a livello di rettili sciaguattanti in pozze antidiluviane. La rinuncia alla coscienza assume, quindi, toni decadenti, antistorici, fondamentalmente quietisti, conniventi col potere, quasi ebeti[6].

Sul disco c’è poco da dire: questi sono gli Ash Ra Tempel. Due composizioni: “Space”, che alterna inaspettate cadenze blues e le consuete smaterializzazioni sonore; “Time” (21’40’’), il vero capolavoro, un classico del rock tedesco, ricco di accenti arcani generati da tastiere e chitarre. Buon ascolto.

 

[1] Forse il titolo si riferisce agli otto stadi di coscienza teorizzati da Leary a cui si poteva accedere grazie all’uso degli allucinogeni.

[2] Sostanza prodotta nei laboratori svizzeri Sandoz: Lysergsaüre-diäthylamid, detta LSD-25 perché venticinquesimo derivato dell’acido lisergico.

[3] Albert Hofmann, LSD. Il mio bambino difficile, 2005.

[4] Si cita, a tal proposito, Gottfried Benn che esecra proprio la dicotomia fra Io e Natura. Che lo stesso Benn fosse fautore dell’identificazione fra genio e pazzia (e depravazione in senso lato) è una conseguenza  del primo assunto. Se la coscienza classica, infatti, ci fossilizza e rende inautentici, qualsiasi stato mentale che diverta da essa è positivo. Lo stesso Benn, infatti, mantenne coerentemente, per tutta la vita, il proprio Io diviso tra ossequio borghese e arte, non rendendosi conto, però, della portata storica e sociale di tale disagio avvertito, con tale intensità, dalla sola classe intellettuale moderna.

[5] Ugo Leonzio, Il volo magico, 1997

[6] Come avvertiva Nietzsche ne La nascita della tragedia, lo scatenamento dionisiaco deve essere sempre vigilato da Apollo; col “beveraggio delle streghe” non c’è catarsi liberatoria e produzione artistica.


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