Ultimo capitolo della trilogia ordita da Rolf-Ulrich Kaiser, Seven up[1] si avvale della voce narrante di Timothy Leary (1920-1996) ripetendo, in tal modo, la struttura di Tarot e di Lord Krishna von Goloka, coi recitativi, rispettivamente, di Walter Wegmüller e Sergius Golowin. In virtù della personalità coinvolta, il disco, al netto delle benemerenze musicali, diviene paradigmatico di certi aspetti della controcultura di quegli anni.
“Turn on, tune in, drop out” è il pensiero di Leary ridotto in un guscio di noce; liberarsi dai vincoli fisici, accordarsi col fluire di una realtà sovraindividuale e dimenticare, per ciò stesso, i lacci sociali che impediscono una vita autentica fu il credo dello psicologo di Harvard che, consapevolmente o meno, ripercorreva i diuturni tentativi dell’uomo di emanciparsi dalla dannazione del principium individuationis: litanie, droghe, digiuni, flagellazioni furono da sempre il viatico per un annullamento delle coordinate spazio-temporali e il rifluire (attraverso il passaggio a stadi sempre più ‘evoluti’ di coscienza) in entità sovraindividuali (Dio, inconscio collettivo, verità archetipica, Nulla …). In realtà Leary, abbronzato e sorridente, col bell’aspetto da istruttore di tennis fedifrago, fu un teorizzatore mediocrissimo, quando non goffamente bislacco, e un incosciente di primo livello. Egli volgarizzò l’uso di sostanze che, svincolate da uno stretto controllo medico, finirono per distruggere (anche politicamente, poiché provocarono la reazione puritana – quindi bene accetta – del Sistema) quegli stessi aneliti di libertà che allora fiorivano spontaneamente come risposta alla massificazione in atto ed al turbocapitalismo incipiente. Di ben diverso spessore i pensieri di Albert Hofmann (1906-2008, il vero scopritore, nel 1938, della dietilamide, LSD 25[2]), che in un suo libretto[3], con sobrietà e sensatezza, oltre a rendere conto di incontri eccellenti (Aldous Huxley, Karl Kerényi, Ernst Junger), delinea i corni del dilemma:
Il che ci porta a brevi considerazioni:
Sul disco c’è poco da dire: questi sono gli Ash Ra Tempel. Due composizioni: “Space”, che alterna inaspettate cadenze blues e le consuete smaterializzazioni sonore; “Time” (21’40’’), il vero capolavoro, un classico del rock tedesco, ricco di accenti arcani generati da tastiere e chitarre. Buon ascolto.
[1] Forse il titolo si riferisce agli otto stadi di coscienza teorizzati da Leary a cui si poteva accedere grazie all’uso degli allucinogeni.
[2] Sostanza prodotta nei laboratori svizzeri Sandoz: Lysergsaüre-diäthylamid, detta LSD-25 perché venticinquesimo derivato dell’acido lisergico.
[3] Albert Hofmann, LSD. Il mio bambino difficile, 2005.
[4] Si cita, a tal proposito, Gottfried Benn che esecra proprio la dicotomia fra Io e Natura. Che lo stesso Benn fosse fautore dell’identificazione fra genio e pazzia (e depravazione in senso lato) è una conseguenza del primo assunto. Se la coscienza classica, infatti, ci fossilizza e rende inautentici, qualsiasi stato mentale che diverta da essa è positivo. Lo stesso Benn, infatti, mantenne coerentemente, per tutta la vita, il proprio Io diviso tra ossequio borghese e arte, non rendendosi conto, però, della portata storica e sociale di tale disagio avvertito, con tale intensità, dalla sola classe intellettuale moderna.
[5] Ugo Leonzio, Il volo magico, 1997
[6] Come avvertiva Nietzsche ne La nascita della tragedia, lo scatenamento dionisiaco deve essere sempre vigilato da Apollo; col “beveraggio delle streghe” non c’è catarsi liberatoria e produzione artistica.