“Le giornate estive si accorciano. E come sempre in questo periodo dell’anno mi sento addosso lo sguardo del Tempo”
(Robert Hasz)
Ognuno di noi trova nella sua epoca i riferimenti a cui ancorarsi e sceglie un approdo musicale a cui tornare nel tempo. Nel mio caso, da più di trent’anni a questa parte, si tratta del brano introduttivo a un album meraviglioso (Secret of the Beehive), contornato dalla frase iperbolica di Leonardo Vittorio Arena, per cui David Sylvian è stato per lui negli anni ‘80 quello che Bob Dylan è stato per i ’60. L’accordo di pianoforte con cui l’artista apre “September” è come un dripping di Jackson Pollock, un lancio di colori che si schiantano e vanno a imprimersi sulla tela; il tocco delle prime note vale per me come il colpo di rullante in “Like a Rolling Stone” di Dylan per Bruce Springsteen, vale a dire qualcosa che ti apre la mente. L’attacco del cantato va in questa direzione, buttandoci negli occhi nientemeno che il Sole alto nel cielo che irradia il suono delle risate.
L’artista ci regala l’affresco di una spensieratezza unita alla percezione di un tempo senza limiti, con l’anima scaldata dai raggi del sole di settembre. Gli uccelli scendono in picchiata sulle croci di vecchie chiese: queste frasi vengono sottilmente accompagnate dalle singole note che componevano l’accordo iniziale, volte a fissare il momento per non abbandonarlo, tipico di un andamento musicale teso a svilupparsi (vedasi i rapporti oppositivi tra tonica e dominante in una scala diatonica).
DI colpo, con la stessa maestria di un montaggio cinematografico, la dimensione si fa più intima e le note infatti si svincolano dagli accordi, come se il sole ci stesse sciogliendo. Un andamento da rêverie alla Claude Debussy con le sue note sospese ci conduce alla frase che cambia tutto lo scenario: prima una grande scena corale, wide open, con il sole, gli uccelli, le risate in lontananza (potremmo anche trovarci sul lungomare, con il sottofondo delle onde, ma così si aprirebbe un altro capitolo di questo album, “Waterfront”, il lungomare appunto con quella domanda finale: Il nostro amore è forte abbastanza?).
Poi l’intimità del sentimento amoroso apre la seconda parte di questo gioiello che dura poco più di un minuto: diciamo di essere innamorati, ma segretamente preghiamo che piova. Ho volutamente scritto la frase nella bellezza della nostra lingua madre perché qui siamo di fronte ad un ermetismo poetico non comune. Cosa ci sta dicendo Sylvian mentre, senza che ce ne accorgiamo, le note si succedono per portare il respiro musicale verso il finale? Che l’intensità della tensione amorosa (al pari dell’intensità della calura estiva) può essere a volte così difficilmente sostenibile da farci desiderare il sollievo portato dalla pioggia? Non lo sappiamo, restiamo seduti sorseggiando coke e facendo giochetti. Così, mentre attendiamo arriva un’altra volta settembre e siamo più vecchi di un anno.
September’s here again.
Settembre è di nuovo qui, ripete la suadente, affascinante voce di David mentre poche note prendono il sopravvento sostenute da esili arrangiamenti per archi elaborati da Ryuichi Sakamoto. Un tipico finale aperto che rimanda nuovamente alle composizioni di Debussy, per cui il nostro orecchio rimane in stallo. Non si può dire altro. Settembre ritorna, sempre uguale a se stesso, ma noi no.
Exit.
Ci accompagnano, nello scemare di questa sospensione verso il silenzio, le parole del monologo finale di “The sheltering sky”, film che non a caso vede la colonna sonora composta da Ryuichi Sakamoto: siamo portati a credere che la vita sia un pozzo inesauribile, però tutto accade un certo numero di volte (…) quante volte vi ricorderete di un certo pomeriggio della vostra infanzia?
Lo sentite meglio, ora, il sole alto nel cielo? Percepite distintamente il suono delle gioiose risate in lontananza? Ancora una volta, dopo 33 anni, grazie David dei tuoi colori.
The blood of Christ, or the beat of my heart
My love wears forbidden colours
My life believes
(David Sylvian-Ryuichi Sakamoto, Forbidden colours)
[Editing di Ornella Genua]