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REVIEWSLE RECENSIONI
16/12/2020
Moltheni
Senza eredità
Dopo undici anni, Umberto Maria Giardini si riappropria del nome d’arte Moltheni e pubblica “Senza eredità”, una raccolta di nuove registrazioni di brani rimasti finora inediti, mettendo così la parola fine a un capitolo della propria carriera e – metaforicamente – anche a un’epoca.

Quando, undici anni fa, Umberto Maria Giardini ha pubblicato l’ultimo album con il nome d’arte di Moltheni (la raccolta Ingrediente novus), ancora nessuno aveva capito che un’era nella musica indipendente italiana era sostanzialmente finita. Dopo aver iniziato la carriera sotto l’ala protettrice del compianto produttore catanese Francesco Virlinzi e aver dato alle stampe il fortunato esordio Natura in replay, qualche anno dopo Moltheni aveva trovato una casa ne La Tempesta Dischi, l’etichetta/collettivo fondata e gestita dai Tre Allegri Ragazzi Morti, che in quegli anni ha saputo raccogliere attorno a sé nomi interessanti come Il Teatro degli Orrori, Zen Circus, Giorgio Canali & Rossofuoco, Le luci della centrale elettrica, i riformati Massimo Volume, Sick Tamburo e Il Pan del Diavolo, fungendo da laboratorio culturale e insegnando a tutti come si gestisce un’etichetta indipendente.

Poi qualcosa, nel giro di una manciata di anni, è cambiato e improvvisamente un certo tipo di proposta musicale è stata superata a sinistra dal cosiddetto itpop prima e dal rap e dalla trap poi, tra il malcontento e lo smarrimento di molti della cosiddetta vecchia guardia. Capita l’antifona, Umberto Maria Giardini si è subito liberato dell’ingombrante nome d’arte di Moltheni, inevitabilmente legato a un periodo fin troppo preciso della sua carriera, pubblicando con il proprio nome una serie album che si rivolgevano esplicitamente a una nicchia di pubblico ben connotato. In bilico tra musica d’autore e rock chitarristico, da La dieta dell’imperatrice in poi Umberto Maria ha aumentato le influenze anni Novanta nella sua musica, tanto che l’ultimo lavoro a suo nome, l’ottimo Forma mentis, è una via di mezzo tra i Soundgarden di Badmorfinger e gli Afterhours di Germi, il tutto condito con un’interessante tocco di psichedelia.

Nonostante la carriera di Umberto Maria Giardini stesse proseguendo senza particolari intoppi, tra nuovi album, consensi positivi da parte della critica, tour e riconoscimenti vari, nel corso di questi anni era chiaro a tutti come il discorso Moltheni non fosse realmente da considerarsi concluso, come se quell’esperienza avesse ancora qualcosa da dire. Ecco allora che Umberto Maria, a undici anni dall’ultima volta, si è riappropriato del nome d’arte Moltheni e pubblica ora Senza eredità, una raccolta di nuove registrazioni di brani rimasti finora nel proverbiale cassetto, recuperati tra le demo oppure tra quelli effettivamente registrati ma che poi non avevano trovato spazio in nessun disco.

Registrato tra gennaio e febbraio di quest’anno (quindi appena prima della pandemia) e prodotto dallo stesso Moltheni con Bruno Germano, Senza eredità è frutto di un minuzioso lavoro d’archivio durato quasi un anno, durante il quale Umberto Maria ha lavorato sui pezzi (molti dei quali erano solo strumentali), nel tentativo di riadattare e contestualizzare canzoni con diversi anni sulle spalle (alcuni demo sono del 1998) al proprio gusto attuale. Insomma, non un lavoro di pura nostalgia retromaniaca, quanto piuttosto una rivisitazione, che cerca di far dialogare il Moltheni della fine degli anni Novanta/primi Duemila con l’Umberto Maria Giardini di oggi, per mettere così la parola fine su un capitolo della propria carriera lasciato finora in sospeso e – perché no – metaforicamente anche su un’epoca intera.

Per fare questo, Umberto Maria ha lavorato sia con diversi dei musicisti che lo hanno accompagnato durante l’esperienza Moltheni (Carmelo Pipitone dei Marta sui Tubi, Salvatore Russo, Riccardo Tesio dei Marlene Kuntz, Massimo Roccaforte) sia con altri che sono stati al suo fianco negli ultimi anni, come Marco Marzo Maracas, Gianluca Schiavon e Paolo Narduzzo. Il risultato è senza dubbio uno dei migliori lavori in assoluto del musicista d’adozione bolognese, tanto che sembra quasi incredibile che nessuno degli undici brani di Senza eredità non abbia mai trovato posto nei suoi precedenti album. Lo testimoniano canzoni come “La mia libertà”; “Ieri”, vicina alla musica d’autore; l’autobiografica “Estate 1983”, un nostalgica fotografia dei quindici anni di Umberto Maria; il pop rock di “Se puoi, ardi per me”; “Nere geometrie paterne”, dal piacevole retrogusto à la Smiths (tanto da sembrare una outtake del bellissimo album degli Stella Maris, altro progetto di Umberto Maria, di cui aspettiamo il seguito); la più psichedelica ed eterea “Sai mantenere un segreto?”; e la conclusiva “Tutte quelle cose che non ho fatto in tempo a dirti”, che suggella con la giusta dose d’emozione un album pressoché perfetto.

È vero, alle orecchie di un ascoltatore cinico, Senza eredità può sembrare il disco di un reduce, che non ha nessuna intenzione di scendere a compromessi e di meticciare la propria musica con quello che attualmente va per la maggiore, nel tentativo di rimanere rilevante e contemporaneo. Tutto questo a Umberto Maria non interessa e anzi, non si è mai mostrato particolarmente benevolo né con l’itpop né con la trap. Ma alla fine dei conti, tutto questo ha poca importanza, perché Senza eredità ci consegna un musicista tuttora ispirato, felice di fare musica, a proprio agio nei propri panni e pienamente consapevole di essere un artigiano: l’ultimo della sua specie e ormai senza eredi.


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