Semina il vento è il primo film di Danilo Caputo a trovare una produzione e una successiva distribuzione nelle sale italiane passando prima per il Festival di Berlino. In realtà Caputo quando arriva a girare questo lungometraggio ha già alle spalle un'opera prima completamente autoprodotta, La mezza stagione, opera che è stata capace anche di raccogliere qualche riconoscimento all'interno della programmazione di festival così detti "minori".
Semina il vento è anch'esso uno di quei film che vengono considerati "piccoli", realizzazione professionale ma budget di certo non stellare, caratteristica questa che non ha inficiato sulla buona riuscita di un film che dà tutta l'impressione di non necessitare di mezzi ingenti per comunicare al meglio e veicolare i suoi più che legittimi contenuti.
Caputo ambienta la sua storia in Puglia durante un periodo di grave moria degli ulivi, evento che solo qualche anno fa abbiamo visto accadere sul serio, in una terra già martoriata dall'inquinamento (siamo vicino Taranto) e dalle azioni scellerate di alcuni dei suoi abitanti. Quella di Caputo sembra quasi un'urgenza di raccontare un momento e un luogo difficili ma anche quella di sottolineare la concreta speranza di un possibile cambiamento.
Nica (Yile Vianello) studia agronomia lontano da casa, un luogo al quale è molto legata ma che in passato aveva abbandonato in tutta fretta. Dopo circa tre anni la giovane ritorna al suo paese, una terra inquinata dalle esalazioni e dagli scarichi dell'industria siderurgica, torna a quel campo di ulivi di proprietà della nonna, alberi che ormai da diversi anni non danno più né olive né sostentamento alla famiglia di Nica a causa di un parassita, il Liothripis oleae, un piccolo pidocchio che induce in questi simboli della Puglia una malattia all'apparenza inarrestabile.
A casa Nica ritrova una madre scoraggiata e in crisi depressiva a causa delle difficoltà incontrate nell'intraprendere una nuova esistenza (vorrebbe aprire un negozio, ma...), il padre (Espedito Chionna, una carriera da giocatore di calcio in serie B alle spalle) si è ormai arreso, ha rinunciato a coltivare la terra e a curare gli ulivi e sta solo cercando di prendere qualche indennizzo per poi abbattere, ormai disposto a eludere la retta via pur di raggranellare qualche soldo per tirare avanti.
Solo Nica, con l'aiuto dell'amica d'infanzia Paola (Feliciana Sibilano), continua a cercare un modo per debellare il parassita, per ridare vigore e speranza a una terra che di parassiti nella sua storia recente ne ha visti passare fin troppi.
Quella che racconta Caputo è una terra assediata da diverse forme di "male" che si concretizzano in una natura avversa a causa dell'espandersi del parassita che ricorda l'invasione di Xylella che qualche anno fa portò all'abbattimento di milioni di ulivi in Puglia, ma soprattutto in comportamenti sconsiderati da parte degli uomini che abitano proprio quella terra che dovrebbe essere loro sostentamento, patria, cuore e appartenenza.
Limpido il riferimento, mai palesato a chiare lettere, al polo industriale dell'Ilva di Taranto che ha negli anni donato ai pugliesi lavoro e morte, la frase del film più riportata è proprio "le persone preferirebbero morire di cancro piuttosto che di fame", affermazione proferita da uno dei protagonisti. E se la dicotomia lavoro/salute può essere un nodo difficile da sciogliere (anche se non dovrebbe), il mancato rispetto della propria terra, esplicitato dalla questione dell'immondizia, e l'avidità imperante su tutto (gli sversamenti) sono inaccettabili sotto ogni punto di vista.
Nonostante questo assedio all'apparenza soverchiante nel film di Caputo la protagonista Nica, con il bel volto della Vianello, è un faro di speranza che emana una luce fortissima: è la speranza delle nuove generazioni che in effetti vivono un certo riavvicinamento alla terra (non solo il solito desiderio di aprirsi l'agriturismo) e coltivano giusti moti di ribellione e insofferenza verso uno status quo malato e distruttivo lasciatogli in eredità dalle generazioni precedenti.
Dal punto di vista dello stile Caputo indugia molto sulla natura, quasi a donarle una mistica ancestrale, ripresa anche dalla narrazione di antiche credenze di paese (lo strusciarsi su una data pietra per propiziare la gravidanza ad esempio), costruisce una bella protagonista, forte e decisa a opporsi anche agli errori del proprio padre, lambisce con la presenza spirituale della nonna e l'utilizzo nella storia della gazza anche una sorta di realismo magico che fa il giusto paio con alcune inquadrature sugli alberi e sulla natura davvero molto significative.
Nonostante tutto il marcio che c'è Semina il vento rimane un film di speranza, la nostra terra, non solo quella di Puglia, ne ha veramente bisogno.