Nel settembre del 2014 il giovane Davide Bifolco, diciassette anni, viene ucciso da un colpo di pistola sparatogli alle spalle da un carabiniere all'inseguimento di un pericoloso (supponiamo) latitante. Un latitante nemmeno presente sul luogo dell'omicidio, una sorta di scambio di persona. Il carabiniere, dovendo dar conto dell'accaduto, si difese asserendo di essere inciampato e di avere esploso per sbaglio il colpo in seguito alla caduta (diciamo, nel migliore dei casi, un carabiniere questo che magari non dovrebbe operare per strada, volendo essere magnanimi).
Succedeva a Napoli nel rione Traiano, dove purtroppo le condizioni di vita delle persone residenti non sono di quelle che permettono grandi sogni né troppe speranze di miglioramento. Da questo episodio nasce la voglia di Agostino Ferrente di raccontare non la storia di Davide ma quella di ragazzi come lui, suoi coetanei, cercando di capire come possa essere in realtà la vita di ragazzi adolescenti, lontani dal mondo della criminalità, ma destinati a crescere in quartieri molto difficili, capaci per il loro contesto di offrire sprazzi di luce, ma anche di tagliare le gambe a speranze e possibilità di crescita, possibilità già difficili da prendere anche solamente in considerazione a causa di un contesto contingente che si dimostra essere oltremodo ostico.
Ferrente sceglie così, immaginiamo dopo numerosi incontri, i suoi due protagonisti: Alessandro Antonelli e Pietro Orlando, sedici anni entrambi. Li fornisce di un cellulare capace di effettuare delle buone riprese e chiede loro di raccontare il loro quotidiano, il quartiere, le loro esperienze (la storia dell'amico Davide sarà tra queste), le loro speranze; gli chiede in poche parole di diventare registi di sé stessi e della loro storia.
Alessandro e Pietro raccolgono così la sfida, anche con un certo orgoglio si può ipotizzare, e iniziano a riprendere e a raccontare la loro vita nel rione.
Alessandro lavora, fa il barista in un bar della zona e si occupa anche delle consegne, rigorosamente effettuate in motorino, senza casco e magari pure mentre si fa riprendere con il cellulare. Pietro non lavora, gli piacerebbe fare il parrucchiere e ogni tanto chiede all'amico Alessandro di fargli da cavia.
Tra i due ragazzi c'è un bellissimo rapporto, un'amicizia quasi fraterna; Alessandro che lavora sembra prendersi un poco cura del suo amico che non ha impiego e che ha anche qualche difficoltà con le ragazze a causa del suo aspetto. Da qualche anno Pietro è infatti sovrappeso (i due ci spiegheranno il perché) e questa cosa gli procura anche un po' di insicurezza.
Oltre ai due protagonisti/registi lo sguardo si sposta su altri ragazzi del rione che Alessandro e Pietro a volte coinvolgono nelle riprese, altre volte intervistano per carpire anche i loro pensieri sul quartiere e sulle loro aspettative di vita all'interno di quella comunità. Ci sono ragazzi più coinvolti con attività criminali, giovani ancora innocenti ma all'apparenza già rassegnati a una vita difficile, bambini che vogliono imitare i grandi e, proprio in relazione all'episodio di Davide Bifolco, già abituati e cinici nei confronti della morte violenta.
Selfie è la dimostrazione pratica di come si possa fare un ottimo film in totale assenza di mezzi usando la vita, la verità e molta professionalità. Ovvio che, tra tutto il girato che i ragazzi, seguiti da Ferrente, hanno realizzato, in fase di montaggio si è cercato di cucire tutto il meglio e tirarne fuori un film/documentario capace di coinvolgere, commuovere e indignare il suo pubblico, compito tra l'altro perfettamente assolto grazie proprio alla post produzione e all'empatia naturale che si prova per questi due ragazzi napoletani.
Ovvio che la verità vista in video è una verità pilotata dagli stessi Pietro e Alessandro, consapevoli di star girando un film che sarà visto poi da un pubblico e proprio per questo, immaginiamo, propensi a mostrare il lato migliore di loro stessi, senza però evitare di raccontare fatti problematici delle loro vite ma soprattutto quelli del rione Traiano.
Il racconto della morte di Davide è un racconto forte, che vede coinvolti i parenti del ragazzo e la sensazione di una giustizia che non può arrivare, "questo è un processo che una formica fa contro a un'elefante, nui simm 'a furmica e 'o Stato è l'elefante", questo diranno i parenti di Davide, disillusi (a ragione) sulla giustizia che lo Stato può concedere loro.
Significative sono anche le prospettive delle giovani quindicenni del rione, già pronte in un futuro a vedere i loro eventuali mariti in galera, proprio come già accaduto con i loro padri.
Al lato duro, spietato, che la vita mette in conto a questi giovani, si contrappongono una bellissima amicizia, una gioia di vivere che porta Alessandro e Pietro comunque a lottare per una vita pulita, lontano dal crimine (cosa che per loro purtroppo è una cosa da conquistare, non la norma) e a concedersi qualche piccola gioia: un bagno a Posillipo, un piatto abbondante di pasta, l'esperienza di questo film.
Selfie è un documentario, se così vogliamo chiamarlo, molto bello, commovente a più riprese e che ci racconta il lato più onesto di una gioventù vitale e allo stesso tempo disillusa, che purtroppo abbiamo prematuramente condannato e abbandonato.