Dopo circa dieci anni e cinque dischi in studio, le Larkin Poe, Rebecca Lovell, voce e chitarra, e Megan Lovell, lapsteel, dobro e voce, fissano il primo traguardo della loro carriera. E lo fanno intitolando il nuovo disco in un modo scherzoso, che riassume molte bene lo stato dell’arte: con impegno, passione e sudore si arriva ovunque.
Ce l’hanno fatta, insomma, hanno lavorato duramente, suonato incessantemente, hanno prodotto la loro musica attraverso una propria etichetta (Tricki-Woo Records) e sono passate, in un decennio, dal garage di casa a una nomination ai Grammy. Una sempre maggiore rilevanza mediatica che però non ha distratto le due ragazze dal loro obbiettivo né le ha spinte verso scelte artistiche differenti da quelle che hanno abbracciato fin dagli esordi.
Certo, la loro rilettura di un genere antico come il blues fa storcere il naso a molti ascoltatori ortodossi. Le due sorelle Lovell, infatti, camminano in bilico fra tradizione e innovazione, plasmando le classiche dodici battute con grande modernità e azzardi stilistici che suonano decisamente anomali rispetto alla consueta visione del genere (nel precedente Venom & Faith fecero ricorso anche a un pizzico di elettronica).
Insomma, da un lato l’attenzione filologica alle radici è rispettata, dall’altro, però, c’è il tentativo di plasmare la materia per renderla più attuale. Il taglio è ricco di accenti rock, certi riff strizzano l’occhio alle arene, certi slanci melodici si adattano bene ai passaggi radiofonici. Un po’ mainstream, un po’ furbette, eppure irresistibili.
Le dieci tracce di Self Made Man si muovono su queste coordinate, e l’impressione è che le due ragazze di Atlanta abbiano definitivamente codificato il loro suono: grezzo e aggressivo, certo, ma capace di esser appetibile anche a chi non mastica molto il genere. Così, i riff zeppeliniani (la title track che apre il disco), i tamburi battenti e le sventagliate slide, che evocano il delta sound, vengono compensati da sornioni handclaps e da eccitanti ganci melodici.
Certo, non si può pretendere che questa declinazione del blues possa piacere ai puristi; eppure, sarebbe ingeneroso non riconoscere alle Larkin Poe il merito di aver plasmato un suono per adattarlo a orecchie meno allenate, pur tuttavia mantenendo profondo rispetto per la matrice iniziale. Non mancano né la grinta né la polvere, e non tutti gli spigoli vengono smussati, dando al risultato finale la sensazione di autenticità. Tuttavia, anche a voler vestire i panni di severi detrattori, Self Made Man suona comunque pimpante e divertente, e questo, per quanto ci riguarda, è sufficiente a farcelo piacere.