Uscito a fine luglio, See Those Colours Fly è il primo disco pubblicato dagli inglesi Breathless da dieci anni a questa parte, il terzo a essere stato rilasciato nel nuovo millennio. Autoprodotto, e mixato da Kramer (Galaxie 500 e Low), con cui la band aveva già lavorato su tre canzoni del loro Green To Blue (2012), il disco è stato ritardato da un terribile incidente accaduto al batterista Tristram Latimer Sayer, che è finito in coma, rischiando di perdere la vita, e non ha, quindi, potuto contribuire alle registrazioni dell’album, frutto esclusivo del lavoro del tastierista/cantante Dominic Appleton, del chitarrista Gary Mundy e del bassista Ari Neufeld. A complicare ulteriormente le cose, è arrivata anche la pandemia, che ha costretto il terzetto a evitare gli studi di registrazione professionali e a lavorare da casa, posticipando il lavoro di assemblaggio e rifinitura a quando le misure anti pandemia si sono allentate.
Eppure, nonostante gli imprevisti e i contrattempi, l’ispirazione non ne ha risentito assolutamente, e il disco è magico come solo i dischi dei Breathless sanno essere. E’ dolce abbandonarsi a questo dream pop malinconico e struggente, a queste melodie fluttuanti a mezz'aria, che emergono da una nebulosa emotiva indecifrabile, per poi sgranarsi lentamente e disperdersi in uno sfarfallio di colori, esattamente come nella bella copertina dell’artista Jay Cloth. Il cuore batte forte, la mente evoca, il corpo si dissolve e diventa un tutt'uno con un’estasi melodica plasmata in un romanticismo dal respiro lento, avvolgente, totalizzante.
La traccia di apertura "Looking For The Words" prende fiato attraverso una dolce caligine e si gonfia lentamente di maestosità sinfonica, suggerendo il tono di un disco che vive in una terra di nessuno, a metà strada tra cose mortali e tendenza all’assoluto. "The Party's Not Over" scivola fra brume autunnali, è uno scatto in bianconero tendente verso tonalità scure, la cui grana sonora evapora in sensazioni ipnagogiche, dolci e inquiete al contempo. "My Heart and I" destabilizza giocando sulla dissonanza lirica: da un lato, il dolce, quasi etereo, ornamento melodico, dall’altro, un testo che indaga sulla solitudine e il passare del tempo, con un retrogusto molto amaro. "We Should Go Driving" spinge appena poco di più sulla ritmica, veste un abito semplice e senza orpelli, è schietta e diretta nella sua progressione melodica che conduce verso lo sprofondo emotivo.
E’ un continuo saliscendi, "See Those Colours Fly", da un lato, l’estasi melodica, lo sfarfallio accattivante di melodie che conquistano al primo ascolto, dall’altro, i repentini tonfi al cuore, i languori malinconici, i groppi in gola, per una musica che non fa sconti sotto il profilo delle emozioni. Ed è tutto un fluttuare, un ondivago aggirarsi senza meta, perduti tra le stratificazioni di "So Far From Love", che intreccia vaporosi fili di dream pop a trame shoegaze, con la sensazione di trovarsi di fronte a dei R.E.M. sgranati dalla narcolessia, o nell’esitante incedere della mesta "The City Never Sleeps", uno sguardo arreso sugli anni bui della pandemia, o nell’inquietante progressione della conclusiva "I Watch You Sleep", sette minuti di crescendo aspri, terrigni, scartavetrati d’impaziente elettricità.
See Those Colours Fly è un disco di bellezza disarmante, che vive di contrasti, seducendo attraverso l’impalpabilità eterea delle melodie, contrapposta alla carnalità di emozioni che scuotono l’anima, serrano il cuore e inducono a un pianto liberatorio, le cui lacrime sgorgano dal tormento o dall’estasi spirituale. Un disco per sognatori, che non hanno bisogno di chiudere gli occhi, per lasciarsi trasportare in un mondo parallelo, dove bellezza, malinconia, solennità, immaterialità e tristezza sono i colori di un arazzo che ruba lo sguardo e restituisce poesia.