Scegliere di chiamare Season Premiere il proprio primo progetto solista significa partire da zero, muoversi in un territorio ancora inesplorato, ma farlo non in un vacuum bensì in una rete di innumerevoli esperienze pregresse, progetti precedenti, dai gruppi di cui si è stati parte ad ogni altra attività fatta per e con la musica. E la cover dell’album che ritrae l’uomo/artista nei suoi primi anni di vita la dice lunga sulla sua idea di musica come viaggio, evoluzione, progressione che si arricchisce via via di nuovi elementi.
Il suo esordio sulle scene musicali Country Feedback (nome mutuato dal celebre pezzo dei R.E.M.) lo fa già negli anni ’90 ma è come se nascesse nuovamente in questo primissimo scorcio del 2020. Io vedo questo suo lanciarsi nell’esperienza solista come la volontà di recidere il cordone ombelicale con tutto ciò che lo aveva nutrito finora, pur non dimenticandosene mai, pur facendone per sempre tesoro. Dunque raccoglie tutto ciò che la musica ha dato lui e che lui ha dato alla musica e si cimenta nella stesura di pezzi interamente suoi, a livello di songwriting e di arrangiamenti suonando tutti gli strumenti anche se, naturalmente, in fase di registrazione verrà coadiuvato da una schiera di validi musicisti suoi amici.
Sotto l’influenza dei R.E.M. e guidato da un amore profondo per la musica afro americana e i suoi maggiori esponenti passati e attuali, scrive 9 brani che sono episodi tesi fra il ricordo, la riflessione e la forza con cui si va avanti. Come se fossero compendio della vita vissuta finora e pungolo a proseguire con la stessa tenacia, con le stessa passione, anche con gli stessi limiti visti ora con serena accettazione. L’album della maturità di un artista ha sempre quel tono mediamente sereno che difetta invece nei lavori “giovanili”. Passate le rabbie, le irruenze, le passioni brucianti, si è più inclini ad osservare le cose con equidistanza e buon senso. Pure quando c’è amarezza, questa non è mai sanguinante ma dignitosa e misurata. Quando Dylan scrisse Blood On The Tracks, pur ferito da esperienze personali e disilluso sulla società, fu in grado di partorire un album denso di dolore ma straboccante di dignità anche nei passaggi più foschi. Che fosse anche apportatore di luce per guardare avanti. E questa è stata la mia stessa impressione all’ascolto di Season Premiere. Un uomo che ripercorre le sue back pages col sorriso, a tratti mesto a tratti fiducioso, comunque consapevole che si è vissuto e si vivrà come meglio si può fare. “Good and bad, I defined these terms quite clear, no doubt, somehow.. Ah but I was so much older then I’m younger than that now”. Per dirla ancora con Dylan spesso la maturità è essere meno manicheisti e avere uno sguardo d’insieme più rilassato e per questo più costruttivo.
Country Feedback in questo suo album quando si abbandona alla deliziosa nostalgia di When We Were Young (il pezzo che ho amato al primo mezzo ascolto..) è consapevole che il dolce ricordo di quella adolescenza vissuta nei 90s deve mantenere intatta la sua magia senza rimpiangerla. “Don’t look back!”. Il ragazzo che si approcciava alla musica con i suoi amici vive dentro di lui, ne è parte integrante. Un brano davvero delizioso, con le sue atmosfere sognanti, i suoi arrangiamenti minimali che sanno tanto di Sixties. Egualmente deliziosa ed accattivante trovo la seconda traccia, Love Usually Leads To Trouble. In altri brani i toni perdono di “spensieratezza” e si fanno più grevi e profondi sotto la ritmica ossessiva, simil tribale, delle percussioni, dei giri di basso, delle trombe. Così accade in Shuck Dat Corn Before You Eat, ma anche in It Sounds Like The 90s, in Sparkles, in Bad Habits Die Hard e in Burning The Midnight Oil. Brani con un’omogeneità di fondo per le atmosfere che evocano scenari post industriali, luoghi abitati da desolazione, disparità sociali, alienazioni dell’anima. Ma accanto alla riflessione amara sullo stato delle cose trovano posto in questo album anche sprazzi di serena propositività e di luce, come in Fearless e in Spring Break Forever. Quest’ultimo chiude l’album, lasciando aperto un bello spiraglio di speranza. La primavera che irrompe e porta rinascita, anche sulle abitudini più stantie, sugli schemi mentali più deteriori. Come a dire che c’è sempre una seconda possibilità. E che nella innegabile grevità della nostra esistenza bisogna mantenere quella salda fierezza e adoperarsi per un miglioramento, sempre. Un arrangiamento qui che mi ricorda Zombies dei Cranberries. Forse un’ulteriore citazione che un 90s lover come Country Feedback fa del suo passato di ragazzino. Forse un suo tendere la mano per ricongiungersi con chi è stato, e sarà sempre.