Con i Black Stone Cherry ci eravamo lasciati lo scorso anno, quando la band originaria del Kentucky aveva rilasciato Live From The Royal Albert Hall, un clamoroso album dal vivo, figlio del tour in terra d’Albione, per celebrare i vent’anni di carriera. Due decenni in cui il quartetto americano ha mantenuto un’invidiabile coerenza stilistica, forgiando dischi in cui il rombo delle chitarre e l’afrore sudista viene bilanciato alla perfezione da melodie uncinanti e da uno sfizioso appeal radiofonico. Una proposta decisamente mainstream, che da sempre fa storcere il naso ai puristi del rock americano, ma che nella sua schiettezza e semplicità continua a mantenersi su ottimi livelli.
Ottavo album, questo, di una discografia che, nel suo genere, ha tenuto alta, quasi sempre, l‘asticella dell’ispirazione, e che continua ad avere un costante riscontro di vendite, come dimostrato anche dal penultimo lavoro in studio, The Human Condition (2020), che, soprattutto in Inghilterra, dove la band è molto amata, ha scalato le classifiche di genere fino alla prima piazza.
Screamin’ At The Sky non fa che riconfermare il trend positivo di una band che, pur non cambiando una virgola della propria narrazione, continua a colpire nel segno con canzoni tutte di ottima fattura. Insomma, chi ha apprezzato i precedenti dischi dei BSC, finirà per innamorarsi anche di quest’ultima fatica, a cui si può riconoscere, rispetto ai predecessori, una maggiore inclinazione hard rock.
Il disco si apre con la title track e il marchio di fabbrica della band è da subito evidente: il suono è potente e grasso, e il riff spaccaossa è come sempre bilanciato da un ritornello melodico che mitica l’impatto tonitruante. Insomma, nonostante il cambio di line up (il bassista Jon Lawhon ha lasciato la band nel 2021 ed è stato sostituito da Steve Jewell), la band continua a macinare il suo rock ruvido e carnale, che miscela echi grunge, southern e hard, con l’abilità e la consapevolezza di chi il mestiere lo conosce a menadito.
Dopo questa partenza a razzo, il disco prosegue con il singolo "Nervous", un pezzone già pronto per il live set, e con "When The Pain Comes", trainata dall’ennesimo riff scalciante, che si apre poi nel consueto ritornello da mandare a memoria fin dal primo ascolto. Ed è proprio questa la freccia più acuminata dell’arco BSC, quella, cioè, di saper gestire l’impianto melodico con soluzioni mai banali, capaci di rendere appetibili anche brani in cui le chitarre, sempre protagoniste, spingono il piede sull’acceleratore, disperdendo kilowatt di graffiante elettricità.
L’altro elemento caratterizzante Screamin’ At The Sky è, poi, la sua immediatezza e la sua concisione: ogni brano dura circa tre minuti e mezzo e ogni canzone arriva dritta al punto. Una scelta che funziona maledettamente bene, e che dà la sensazione di trovarsi sulla traiettoria di un treno in corsa, che travolge l’ascoltatore con un’efficacia implacabile.
Nessun filler in scaletta, quindi, ma solo highlights, in un susseguirsi di brani potenti e accattivanti: "R.O.A.R. (Raindrops on a Rose)" scorre melodica e acchiappona su uno splendido lavoro di chitarra (fantastico il solo finale!), "Smile, World" picchia durissima su un groove hard funky da paura, "The Mess You Made" mette in luce la sezione ritmica della band, basso e batteria a spingere la forza travolgente dell’ennesimo grande pezzo dall’appeal radiofonico. E il gruppo riesce alla grande anche quando rallenta il passo, come nel mid tempo di "Here’s To The Hopeless", la cui melodia inesorabile si pone come il punto più alto di un disco, nel suo genere, assolutamente centrato.
Non è di certo sbagliato evidenziare che i Black Stone Cherry ruotino la loro proposta attorno a una sola idea, data dal connubio fra pugno e carezza, che è da sempre il segno distintivo della loro musica. Tuttavia, a differenza di band molto meno affidabili, questa caratteristica si rivela azzeccatissima, soprattutto quando la scrittura riesce ad equilibrare con intelligenza il fragore delle chitarre a ritornelli di cristallina bellezza, in un unicum che suona sempre omogeneo e coerente.
I Black Stone Cherry sono un gruppo mainstream, parola che, come si diceva, fa inorridire molti, ma che in questo caso, mai come prima, possiede una valenza assolutamente positiva. Screamin’ At The Sky, in tal senso, è un grande album, probabilmente il migliore della band di tempi di Folklore And Superstition (2008), e sarebbe davvero interessante, se mai tornassero a suonare nel nostro paese (l’ultima volta è stata due anni fa), ascoltare queste nuove canzoni dal vivo, dimensione in cui la band da Chris Robertson ha pochi eguali in termini di potenza ed elettricità.