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REVIEWSLE RECENSIONI
04/07/2024
Been Stellar
Scream From New York, NY
Le canzoni ci sono, la personalità pure. I Been Stellar saranno anche giovani, ma vogliono arrivare in cima e i mezzi per la scalata li hanno tutti. Il loro disco di debutto, "Scream From New York, NY", ha un grande potenziale mainstream in moltissime tracce. Come sarà il loro futuro? Saremo curiosi di ascoltarlo e seguirlo.

Ogni tanto mi scopro a interrogarmi con curiosità mista a fascino, su cosa vorrebbe dire avere New York come dimensione quotidiana. È probabilmente solo una questione di prospettive, perché negli anni la gentrificazione sempre più imperante ha modificato in maniera radicale la fruizione dei luoghi, la loro abitabilità, così che le nostre suggestioni cinematografiche andrebbero probabilmente molto ridimensionate.

Resta che i Been Stellar nascono qui e qui hanno mosso i primi passi, fuori tempo massimo su una scena che ha avuto i suoi momenti di gloria ma che oggi sta andando incontro ad un periodo dall’identità molto meno definita.

Samuel Slocum (voce e chitarra) e Skyler Knapp (chitarra) sono originari del Michigan e suonavano già assieme ai tempi del liceo. Arrivano a New York nel 2017, per frequentare l’università, e con il sogno di poter prendere parte a quel fermento creativo che nei primi anni del nuovo millennio aveva portato alla nascita di una vera e propria scena, lanciando gruppi come Strokes, LCD Soundsystem ed Interpol (c’è un libro, Meet Me in the Bathroom, recentemente tradotto anche in italiano, che racconta benissimo tutta questa vicenda).

Troppo tardi, purtroppo: 285 Kent, Glasslands, Death By Audio ed altri locali storici avevano chiuso da tempo, tutto il movimento era stato ormai storicizzato, la città era in preda alla gentrificazione e certi luoghi simbolo come il Greenwich Village sono da tempo inavvicinabili, per artisti con sogni di gloria da avverare. Dopo una prima fase di disorientamento, Skyler e Samuel non si sono persi d’animo e, una volta in università, si sono iscritti, tra gli altri, a corsi di musica e hanno cominciato a guardarsi attorno con l’idea di formare una band. Dapprima hanno incontrato Nando Dale (chitarra) e Nico Brunstein (basso) che si conoscevano già e che avevano già suonato assieme; dopodiché, con l’ingresso in formazione di Layla Wayans alla batteria, il gruppo ha assunto la configurazione attuale.

 

Il nome l’hanno ricavato, con un tocco di geniale nonsense, dall’assonanza con quello dell’attore Ben Stiller, che oltretutto, particolare ignorato dai più, in gioventù è stato anche lui un musicista: suonava la batteria in un gruppo chiamato Capital Punishment, con il quale ha pubblicato un album, Roadkill, nel 1982. Nel 2019 la Captured Tracks ha ristampato il lavoro e ad un evento di lancio sono stati invitati anche i Been Stellar, che hanno così potuto incontrare il loro beniamino (ci sono le foto in rete, se volete curiosare).

Anche senza avere una scena viva alle spalle, sono comunque riusciti a farsi strada, organizzando concerti assieme a band amiche e facilitando dunque la nascita di un piccolo microcosmo, periferico ma ugualmente vivace.

A stretto giro sono arrivati alcuni singoli ed un EP, Manhattan Youth, pubblicato nel 2022 dall’etichetta inglese So Young, ed una serie di concerti in apertura ad Idles, Shame e Fontaines dc, vale a dire la triade perfetta del Revival Post Punk. È un contrasto interessante che loro, americani, abbiano finito per orbitare nel mondo anglosassone, ma probabilmente questo dipende dal fatto che negli Stati Uniti un certo genere di musica non abbia mai incontrato troppo i favori del pubblico (vero comunque che c’è un mercato anche lì, il prossimo autunno per esempio i Been Stellar accompagneranno i Fontaines dc nel loro tour americano).

 

Il passo decisivo è avvenuto lo scorso anno, con la firma per la Dirty Hit (anche lei inglese, guarda caso) ed un tour in compagnia dei 1975, la band di punta del roster. Sono passati da Milano a marzo e per me sarebbe stata un’occasione importante per vederli ma, purtroppo o per fortuna, ero ad intervistare i King Hannah dall’altra parte della città e sono arrivato troppo tardi.

Ci rifaremo a novembre, quando torneranno da noi nell’ambito del loro primo importante giro da headliner. Nel frattempo è uscito Scream From New York, NY, il disco di debutto che, nella dilatazione tipica del mercato musicale odierno tra le prime pubblicazioni ed il primo full length, aveva ormai raggiunto livelli spasmodici di attesa.

 

Prodotto dal solito e ormai gettonatissimo Dan Carey, che è volato da loro lo scorso agosto, dove hanno fatto tutto in due settimane di lavoro, il disco denota un’urgenza espressiva che tuttavia non è mai debordante, tenuta sapientemente a freno da una notevole padronanza dei propri mezzi e da una struttura dei singoli brani sempre ben definita.

Rispetto alle cose pubblicate in precedenza, che erano più dirette e catchy, qui si assiste ad una maggiore volontà di elaborazione, un non voler per forza di cose appiattirsi su ciò che è veloce e diretto, ma ricercare un maggior bilanciamento tra piano e forte, tra episodi in Up tempo o comunque robusti, ed altri più lenti e riflessivi.

Sia ben chiara una cosa, però: i nomi sopra riportati non c’entrano nulla. Lo hanno detto loro stessi, nelle interviste di questi ultimi mesi: il “nuovo Post Punk” lo amano molto, ma quando scrivono si indirizzano su ben altri modelli. Che poi, alla fin fine, hanno qualche punto in comune con quella famosa scena che è sparita quando ancora erano ragazzini. Non gli Strokes, perché a quanto pare se glieli nomini si incazzano, però senza dubbio gli Interpol, gli Iceage, mostri sacri come Radiohead e Sonic Youth (evidente nella forma di certi riff), ma soprattutto un po’ tutto l’Indie Rock di inizio millennio, americano o britannico che sia, con tutta la sua freschezza melodica, l’attitudine ruffiana, unita ad una certa malinconia contemplativa.

E se dunque “Start Again” e “Passing Judgement” possono in qualche modo ricordare gli Idles più “trattenuti” (anche se quest’ultima è costruita su un crescendo che sfocia in un bel ritornello dall’attitudine Punk), già con “Pumpkin” abbiamo una ballata in minore, tra Alt Rock e Post Grunge, formula bissata in “Takedown”, dove si sentono anche vaghi echi Slowcore.

 

A colpire è comunque il potenziale mainstream che si avverte in tutte queste tracce: la title track, per esempio, perfetta nei suoi cambi d’intensità e nell’irruenza di cui è persuasa; o ancora “Sweet”, algida e allo stesso tempo spavalda, per come gioca sul ritornello ad alta intensità e su trame chitarristiche telefonate ma molto riuscite.

“Can’t Look Away” e “Shimmer” sono in questo senso un po’ meno smaccate, incorporano influenze Brit Pop ma rilette in una chiave senza dubbio più oscura, chiusa in se stessa. Ma il meglio, a mio parere, lo danno alla fine, con le strutture articolate di “All in One”, tra cambi d’intenzioni e improvvise accelerazioni; e poi con “I Have the Answer” che da sola basta a spiegare il perché non dovremmo lasciar perdere i Been Stellar: clima generale da College Rock e melodie vocali bellissime, con un ritornello che già ci vediamo a cantare a novembre sotto il palco del Bellezza. È anche il loro pezzo a maggiore vocazione radiofonica, quello che indica con chiarezza una strada che, se avranno la forza di percorrerla, potrebbe portarli davvero molto in alto.

 

Perché al momento i Been Stellar potrebbero sembrare solo dei ragazzini che si divertono ad imitare i loro idoli: c’è talmente tanto di déjà vu nei loro pezzi, che non sarebbe da biasimare chi decidesse di abbandonarli prima della fine dei 45 minuti che dura questo disco.

Le canzoni però ci sono, la personalità pure: saranno pure dei ragazzini, ma vogliono arrivare in cima, questo non lo nascondono. Se ci riusciranno non dipenderà solo da loro, ma i mezzi per la scalata li hanno eccome.