Con quei pantaloni di flanella e la camicia a quadri che durante la sua carriera erano diventati la sua uniforme, Rory Gallagher - che proprio quest'anno avrebbe spento settanta candeline - lo si sarebbe potuto tranquillamente scambiare per un taglialegna canadese e non per uno dei più grandi chitarristi rock-blues di tutti i tempi. Il suo aspetto dimesso e il carattere schivo lo rendevano distante anni luce dall'iconografia della rockstar, eppure quando saliva sul palco ed imbracciava la sua Fender Stratocaster sapeva emozionare come pochi.
Nato a a Ballyshannon in Iranda nel 1948, Gallagher si innamorò della musica a soli otto anni assistendo ad un'esibizione televisiva di Elvis Presley. Divenne un vorace ascoltatore di programmi musicali radiofonici e sviluppò immediatamente una bruciante passione per il blues. L'anno dopo ricevette in regalo la sua prima chitarra sulla quale fece pratica imparando a suonare le canzoni dei suoi idoli: Muddy Waters, John Lee Hooker, Big Bill Bronzy, Albert King, Leadbelly e Woody Guthrie. Gusti notevoli per un bambino di nemmeno dieci anni. Trasferitosi con la famiglia nella città di Cork, sulle coste meridionali irlandesi, nel 1960 vinse un concorso per giovani talenti e questa affermazione lo spinse con profonda determinazione, nonostante le legittime ansie dei genitori, ad inseguire il sogno di vivere di musica. Rory trascorreva le giornate esercitandosi sul suo strumento, usciva poco e non era interessato ad altro che alla sua chitarra. Oggi probabilmente, considerando i tempi crudeli che viviamo, sarebbe stato definito un nerd. Nel 1963, mentre guardava la vetrina del Crowley’s Music Centre - storico negozio di strumenti musicali di Cork che ha chiuso i battenti nel 2013 - venne travolto da quello che probabilmente fu il primo e più importante colpo di fulmine della sua vita: una Fender Stratocaster Sunburst del 1961 che acquistò di seconda mano per cento sterline e che qualche anno dopo rischiò di perdere per sempre: "Credo che fosse una delle prime Stratocaster che si vedevano in Irlanda. Ogni mattina andavo a cercare la mia chitarra nella custodia, la trattavo come fosse un essere vivente che conoscevo o come una specie di oggetto magico. Nel 1967 venne rubata dal furgone in cui tenevo la mia strumentazione. Grazie al cielo dopo due settimane la ritrovai: era stata buttata in un fosso, sotto la pioggia, aveva dei graffi e diversi altri danni. Giurai a me stesso che non l'avrei mai ridipinta o rivenduta". A diciotto anni Rory formò i Taste con i quali riscosse le prime affermazioni: nel 1968 il gruppo si esibì alla Royal Albert Hall come supporto ai Cream durante il concerto di addio della band di Eric Clapton, Jack Bruce e Ginger Baker. Le strade di Gallagher e Clapton si incrociarono nuovamente l'anno successivo quando i Taste si unirono ai Blind Faith per un tour negli Stati Uniti e in Canada. Fu però nel 1970 che il gruppo visse la sua epifania grazie alla straordinaria performance al Festival dell'isola di Wight, eternata nell'album "Live At The Isle Of Wight". L'anno dopo, chiusa l'esperienza con i Taste, non senza attriti con gli altri componenti del gruppo, Gallagher diede il via alla sua carriera solista durante la quale pubblicò 14 album, alcuni dei quali ("Tattoo", "Deuce", "Calling Card") di livello eccelso. Collaborò con artisti del calibro di Muddy Waters e Jerry Lee Lewis. Nel 1974 perse scientemente quella che per molti sarebbe stata l'occasione della vita, rifiutando l'invito di Mick Jagger e Keith Richards ad unirsi ai Rolling Stones per sostituire Mick Taylor. Nel frattempo, le sue esibizioni live diventavano leggendarie, come testimoniano i numerosi dischi dal vivo pubblicati anche postumi; su tutti spicca il sontuoso "Irish Tour '74", album doppio che documenta la tournée che vide Rory esibirsi non solo nella sua terra natia ma anche in quella Belfast martoriata dalla violenza e dagli attentati. Un luogo dove buona parte dei musicisti, durante il periodo più cruento del conflitto nordirlandese, rifiutava di suonare. Per Rory invece era una questione fondamentale: la sua musica doveva superare le barriere, l'intolleranza, l'odio. La musica doveva veicolare messaggi positivi, unire ciò che pareva inconcialiabile. Forse non cambiò la storia, ma riuscì a trasmettere un messaggio significativo.
Tra studio di registrazione ed interminabili giri di concerti, la vita di Gallagher girava a mille, i ritmi si fecero sempre più convulsi e trascinarono il musicista, uomo timido e poco incline alla vita della rockstar, nella spirale dell'alcolismo. A lui importava suonare e basta, non avrebbe voluto altro. Ma i suoi desideri non coincidevano con le esigenze di un'industria discografica che già all'epoca, quando si trattava di spremere all'osso un'artista infischiandosene delle conseguenze sulla persona, non si poneva alcun indugio. Durante i primi anni Novanta la sua salute si fece sempre più precaria fino a quando, nel gennaio del 1995, non fu costretto ad annullare un tour europeo per gravi motivi fisici. Nel marzo dello stesso anno venne ricoverato presso il King's College Hospital di Londra dove fu sottoposto ad un trapianto di fegato. L'intervento pareva essere andato a buon fine, ma non era così. Poche settimane dopo l'operazione, subentrarono delle gravi complicazioni: all'inizio di giugno Gallagher contrasse un'infezione da stafilococco e nel volgere di pochi giorni entrò in coma. Se ne andò il 14 giugno a 47 anni, non aveva moglie né figli. Soltanto la sua Stratocaster. Non appena venuti a conoscenza del suo decesso, i canali televisivi irlandesi e perfino la BBC sospesero le trasmissioni per dare la notizia della sua scomparsa. Il suo funerale - al quale parteciparono 15000 persone, tra cui Adam Clayton e The Edge degli U2 - fu trasmesso in diretta dalla rete ammiraglia britannica. Coerente fino all'autolesionismo commerciale (durante l'intera carriera rifiutò di pubblicare 45 giri delle sue canzoni), rispettato ed amato dai suoi colleghi, ancora oggi fonte di ispirazione per una moltitudine di giovani chitarristi, Gallagher consacrò la sua vita alla musica, al blues, al rock. Forse giunse perfino a sacrificarla. E se un dio benevolo dovesse rispedirlo sulla terra, probabilmente lo sacrificherebbe ancora.