Nel caso Tool e A Perfect Circle dovessero impiegare tempi elefantiaci per realizzare un nuovo album, niente paura: a non farne sentire troppo la mancanza ci possono pensare benissimo gli Sleepwait, duo composto da Filippo Bravi (voce e testi) e Mauro Chiulli (chitarra, basso e batteria). Biologo evoluzionista il primo e ingegnere meccanico il secondo, con il loro esordio Sagittarius A* – titolo che prende il nome dal più grande buco nero della Via Lattea – i due danno sfogo a tutta la loro passione per quel Rock e Metal alternativo che si è imposto a partire dalla seconda metà degli anni Novanta.
Il disco – registrato, mixato e masterizzato dallo stesso Chiulli – è frutto di un lavoro lungo quattro anni, ovvero da quando, nel 2015, Mauro e Filippo si sono conosciuti tramite un annuncio online. Negli anni successivi, i due hanno lavorato completamente a distanza: Chiulli componendo e registrando le tracce strumentali nel suo studio a Bologna e Bravi ideando le parti vocali a Udine.
Ma, nonostante i due musicisti si siano incontrati solamente durante la fase finale della lavorazione dell’album, quello che spicca di Sagittarius A* è la sua coesione e il fatto di essere un album già molto maturo, senza quei difetti e quelle ingenuità tipici degli album d’esordio. Gli Sleepwait, infatti, si presentano all’ascoltatore fin da subito con un’identità molto precisa, che vede Tool, A Perfect Circle, Mastodon e Alice in Chains come i quattro pilastri sui quali è costruita l’intera impalcatura sonora del gruppo.
È inutile negare come la vocalità di Maynard James Keenan sia più di un modello per Filippo Bravi – in alcuni passaggi, vedi soprattutto “Constellation”, lo spettro del cantante dei Tool si fa incombente –, ma la sua bravura è quella di non scadere mai nella pedissequa imitazione, e di cercare piuttosto di sviluppare un proprio stile utilizzando ogni sfumatura del suo registro, dalla salmodia al cantato più aggressivo.
Davvero notevole anche il lavoro di Mauro Chiulli, che ha suonato ogni singolo strumento di Sagittarius A* (eccetto la batteria in un paio di pezzi). E se il basso ha più di un debito con lo stile “liquido” di Justin Chancellor, le parti di chitarra ricordano molto da vicino quelle di Billy Howerdel degli A Perfect Circle periodo Mer de Noms, con degli inserti acustici, in special modo arpeggiati, che catapultano di peso l’ascoltatore nelle atmosfere di Jar of Flies degli Alice in Chains. Non mancano inoltre delle belle distorsioni vintage in odor di Stoner, tra i primi Mastodon e i Kyuss, e passaggi più onirici e dilatati, debitori tanto dei Mogwai quanto degli Isis.
È vero, forse Sagittarius A* non offre all’ascoltatore niente di veramente nuovo. Ma, detto sinceramente, è davvero un problema? Quando si sono appena ascoltate 12 canzoni solide e ben scritte, arrangiate con stile e gusto, suonate e cantate ad alto livello da due musicisti che dimostrano di avere un’ampia cultura musicale – ebbene –, cosa altro chiedere di più? Senza dubbio una delle sorprese più gradite di questo 2019.