“Sad Happy”, loro quarto lavoro in studio, è stato annunciato e riannunciato più volte e pubblicato a scaglioni, brano dopo brano, tanto che alla data ufficiale della release mancavano giusto una manciata di canzoni all'appello.
In questi anni di mordi e fuggi e di progressivi ed inesorabili cali di attenzione, lo abbiamo già scritto diverse volte, queste uscite dilazionate sembrano l'unica risorsa rimasta agli artisti per farsi concedere il giusto spazio dal pubblico.
Perduto forse definitivamente il treno della consacrazione commerciale, il quartetto di Liverpool ha concepito un progetto originale e vagamente ambizioso: un disco diviso in due parti, una allegra e una triste, diverse quindi per tipologia e mood generale dei brani. “Sad Happy”, appunto. Che, diciamolo subito, ad ascoltarlo di fila, senza la coscienza di questa ripartizione, non ce ne saremmo accorti più di tanto.
Vero che la parte “Happy” (interamente fuori già da gennaio) è sicuramente più dura ed incline a quella rilettura contemporanea del Brit Rock che è da sempre il marchio di fabbrica del gruppo; vero però che in questi primi sette brani compaiono anche un paio di ballate, che non sono certo la rappresentazione perfetta della felicità (in particolare “The Things We Knew Last Night”, una serenata romantica con tanto di violino, che conserva comunque un certo retrogusto amaro).
Altrettanto vero è che la sezione “Sad”, con un approccio indubbiamente più Pop, canzoni leggere, meno incentrate sulla chitarra e con tastiere e Synth in primo piano, non contiene poi tutta quella tristezza indicata dal titolo.
In generale, è il solito lavoro dei Circa Waves: la scrittura di Kieran Shudall è sempre molto lucida e anche se a questo giro non è riuscito a comporre niente di memorabile, ci si diverte dall'inizio alla fine, senza nessun momento che si possa dire sottotono.
Si parte in quarta con “Jacqueline”, un bel brano in stile FM Rock (caratteristica che nella prima parte si ritrova in più di un'occasione) con un ritornello assolutamente radiofonico e un break centrale che pare costruito apposta per i concerti. Altrettanto riuscita è “Be Your Drug”, basso martellante e chitarre distorte che conserva anch'essa una grande carica melodica, data dal refrain e dalle chitarre arpeggiate in sottofondo. Il lavoro della seconda chitarra, in effetti, è una caratteristica portante di tutto il disco: dà tiro e spessore ai pezzi, rendendoli allo stesso tempo meno monocorde.
Molto carina anche “Move To San Francisco”, che appartiene al lato più catchy e ruffiano del repertorio del gruppo, mentre “Love You More” parla sempre il linguaggio della ballata ma è leggermente più ariosa. Interessante invece l'atmosfera à la Last Shadow Puppets che si respira in tracce come “Wasted on You” e “Call Your Name”.
Come dicevamo, la seconda parte è più Pop, lontana in un certo senso dalla tipica impronta dei Circa Waves e forse per questo più interessante. Colpiscono in particolare l'acustica “Sympathy”, molto standard ma allo stesso tempo dannatamente efficace; e poi il piano che impreziosisce la ritmica di “Battered & Bruised” o lo splendido ritornello di “Hope There's a Heaven”, che con le sue reminiscenze AOR rappresenta la cosa più riuscita del disco.
Ribadisco: nulla di memorabile e nel complesso una prova inferiore all'album precedente, che ce li aveva fatti trovare molto più freschi ed ispirati. In linea con quello che ormai sono i Circa Waves, dopotutto: una buona band senza le carte necessarie per imporsi davvero.