Orianthi Panagiris, chitarrista australiana di origini greche, ha iniziato a suonare fin da bambina, palesando già in età adolescenziale un talento e doti tecniche inusuali, che l’hanno portata nel corso della sua carriera, oltre a pubblicare alcuni dischi solisti, a collaborare con stelle di prima grandezza, quali Michael Jackson, Alice Cooper e Carlos Santana, tanto per citare alcune delle più celebri. Se da un lato, le qualità tecniche della trentasettenne chitarrista non si discutono, dall’altro, non si può certo affermare che a livello compositivo Orianthi abbia lasciato ai posteri pagine indelebili.
Rock Candy, quinto disco in studio pubblicato in quindici anni, è un album rapido (solo trentun minuti di durata) e divertente, che cerca di intercettare il maggior numero di ascoltatori, con una miscela di rock blues e pop assai elegante, ma con un approccio fin troppo indulgente verso il mainstream. Un colpo al cerchio e un colpo alla botte, si suol dire, e probabilmente questo è il maggior limite di un’artista, consapevole dei propri mezzi, ma che sembra non aver ancora deciso su quale sponda del fiume accamparsi.
"Illuminate Part.1", apre il disco con una breve intro strumentale, in cui, ovviamente è protagonista la chitarra, che gigioneggia su un tappeto di tastiere. Un'esibizione di tecnica sopraffina, per introdurre "Light It Up", muscolare e rabbioso rock blues, che spinge sull’acceleratore, prima di schiudersi su un ritornello melodico e di facile presa. Buon equilibrio fra il ringhio delle chitarre e la melodia, atmosfera molto d’impatto, ma parecchio prevedibile. Quando, poi, parte l’assolo di chitarra si comprende. però, per quale motivo la ragazza abbia trovato posto su palchi importanti a fianco di musicisti coi fiocchi.
Con "Fire Togheter" la svolta verso sonorità più mainstream si fa più netta, il tiro è radiofonico, ma di ottima fattura, la chitarra ruggisce e sfrigola tra echi zeppeliniani, l’assolo si fa ricordare, e la pagnotta è portata a casa egregiamente. Risulta chiaro, però, che questo disco sta ben lontano da un rock blues verace e sanguigno, per inseguire, come succede nella successiva "Where Did Your Heart Go", un mood orecchiabile che cerca di uscire con forza dalla nicchia di genere, per compiacere a un pubblico il più vasto possibile. E tutto sommato, il risultato non dispiace, il brano è accattivante, la classe è indubbia e il bersaglio è centrato.
Certo, quando come in "Red Light" Orianthi mostra i muscoli in un riff tanto basilare quanto incendiario, si comprende quali cose egregie la ragazza potrebbe fare se solo decidesse che strada imboccare, perché qui, al netto del solito ritornello molto melodico, c’è anche sudore e un assolo di quelli che spacca letteralmente le casse dello stereo.
Il disco, però, è ondivago: la conturbante e sensuale "Void", chitarra e voce distorta, Hendrix nel cuore e tanta grinta, è da applausi, e se Rock Candy suonasse tutto a questi livelli, ci sarebbe da spellarsi le mani per la goduria. Allo stesso modo, la successiva "Burning", pizzicata di elettronica, è un rock blues sudato, in cui la melodia è gestita con intelligenza e scartavetrata da una chitarra distorta e abrasiva. Poi, però, si passa a "Living Is Like Dying Without You", una ballata acustica e radiofonica, che funziona molto bene, per carità, ma è un po' troppo leccata per chi cerca emozioni vere.
A compensare, allora, la successiva "Witches & The Devil", altro rock blues muscolare e ad elevato livello di decibel, pesante e distorto, che s’infila, dopo due minuti, nella tirata dritta e diretta di "Getting To Me", un rock basico, ma come sempre illuminato dalle scintille di una chitarra coi controcazzi.
Chiude "Illuminate Part. II", un breve brano strumentale, che mette nuovamente in scena il talento alla sei corde di una ragazza dotata di grande tecnica, e che trova un inusuale cameo di violino piazzato alla fine, a testimonianza anche di soluzioni interessanti all'interno un songwriter per lo più prevedibile.
Orianthi ha il merito di tenere il minutaggio basso e carpire così l’attenzione dell’ascoltatore, esibendo una tecnica da califfa della sei corde, senza però gigioneggiare troppo in inutili assoli. Questo approccio elegante ma asciutto, è certo un merito. Però, resta il dubbio di cosa sarebbe in grado di fare se decidesse quale strada intraprendere con chiarezza. Un disco più lineare, gioverebbe ai contorni di un profilo, oggi, troppo indefinito. Rock Blues o mainstream? Questo è il dilemma. Se un giorno dovesse scegliere, avrebbe le armi per far bene comunque. Così, invece, resta una vaghezza nell’aria, che non convince fino in fondo.