Dopo Twin solitude del 2017 e New Ways del 2019 Leif Vollebek torna più ispirato che mai con il suo nuovo album Revelation, lavoro dove il famoso flusso di coscienza (sì, proprio quello così indissolubilmente legato a Virginia Woolf, ovvero la tecnica narrativa che consente la libera rappresentazione dei pensieri di una persona così come compaiono nella mente, prima di essere riorganizzati logicamente in frasi; quella che ha permesso alla Woolf di rendere l’arte del “sentire” viva nello scritto) fa da protagonista, portando Leif a riflettere sul futuro a lungo termine.
L’album è caratterizzato da testi narrativi e performance vocali con arrangiamenti quasi cinematografici e magnifiche sonorità, che al suo interno si occupano di temi come acqua, costellazioni astrali e mortalità, disegnando luoghi mentali dove si respira un presente in costante cambiamento, intriso di dubbi esistenziali alla ricerca di un potere superiore.
Le 11 tracce sono state autoprodotte e suonate da Vollebekk coinvolgendo strumenti quali pianoforte, chitarra, basso, organo B3, armonica, fisarmonica e sintetizzatore Moog, oltre che alcuni importanti collaboratori: dagli elementi della band che vede rispettivamente Jim Keltner alla batteria, Cindy Cashdollar alla chitarra (che ricordiamo per aver collaborato con personalità quali Bob Dylan, Van Morrison e Rod Stewart), Shahzad Ismaily al basso, ad artisti come Angie McMahon e Anaïs Mitchell nei cori. Un insieme di artisti e ammiratori del suo lavoro che hanno permesso a Leif di rendere al meglio in musica la ricerca quasi metafisica che aveva iniziato a compiere pochi anni prima.
Lo spazio temporale nel quale Vollebekk ha iniziato a intraprendere il viaggio musicale di dubbi e misteri divini che ha portato alla realizzazione di Revelation è il periodo della pandemia, momento nel quale Leif è andato alla ricerca di qualcosa che lo radicasse e allo stesso tempo lo illuminasse, lo liberasse dall’armatura d’argento che opprimeva il suo cuore e rompesse le catene che tenevano prigioniera la sua mente, rendendo più lievi i dolori sofferti sul letto di spine della sua esistenza, lambita anche da lunghe nottate passate da solo in strada; doni preziosi per l’anima, celati dal mantello della notte.
La sua ricerca del “vero” lo conduce così all’incontro con Jung tramite la sua opera Ricordi, sogni e riflessioni, dispiegando davanti ai suoi occhi sfumature del tutto nuove dell’intelletto, immergendolo nella profondità dell’Io, verso una turbolenta esplorazione dei luoghi più reconditi della sua interiorità, spingendolo a esplorare la sua anima con un telescopio che gli mostra lo splendore di nuove costellazioni e mondi paralleli fino ad ora nascosti alla sua coscienza.
Attratto da biografie e libri di scienza, sarà poi grazie alla lettura della vita di Isaac Newton che, come un battito o uno sfarfallio d’ali, viene a contatto con la sua immagine ultraterrena riflessa allo specchio.
Se si vuole entrare nel vivo di Revelation, alzando il sipario ci troviamo dinnanzi a “Rock and Roll”, dove le linee temporali del vivere si aprono davanti a noi attraversando i confini della mente, delineati e accarezzati da un sound che ci abbraccia sfiorando la nostra fragilità interiore: “I'm on a boat and I'm out at sea. There's no captain or maybe the captain is me”.
Segue “Southern star”, nella quale le emozioni sono cullate da un ritmo lento ma rassicurante, dal sapore di una dolcezza inaspettata che commuove e allo stesso tempo sospinge il vento del cambiamento nutrito da sognanti speranze: “Big dreams, they move slowly. Like a fog across the plains”.
“Peace of mind” ci rammenta che per mordere il cielo, tra sole, pioggia e colori che mutano con le stagioni, non bisogna temere di rompersi dentro, perché solo così, tendendo le mani all’amore, sarà possibile raggiungere la tranquillità, la tanto agognata pace mentale: “Last night I prayed for?direction. This morning when it showed, I didn't hold on. Now baby it’s gone. You tell me now that's just how it goes. Ooh, You give me peace of mind”.
Giunti a “Moondog”, la meraviglia le presta il volto e, come sostiene Jung, “l’uomo può realizzare delle cose stupefacenti, se queste hanno un senso per lui”, perché non esistono regole o istruzioni precise, un libretto illustrativo per difendersi dalle controindicazioni del vivere, dai rischi non calcolati che il “sentire” d’ogni giorno ci pone davanti o da fratture multiple del cuore. Bisogna uscire dal porto e attraversare l’esistenza, solo così l’espressione del vero “essere” apparirà chiaro, ben oltre l’orizzonte dei timori.
“I'm breaking free with a deeper will. The one I seek is a seeker still. Always reaching, never teaching. I know nothing, baby, who am I to instruct?”
Avviandosi verso la fine troviamo poi “Mississippi” e “Angel Child”, brani che ci accompagnano verso la fine dell’incantevole viaggio sonoro nel quale il pensiero di Pessoa traccia una rotta e si erge a mantra allo scopo di dilatare la bellezza del fermento denominato vita, che Leif a suo modo ha esplorato con la sua “rivelazione”.
“Benedetti siano gli istanti, i millimetri e le ombre delle piccole cose” (Pessoa, Libro dell’inquietudine).