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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
16/06/2021
Gigi Cavalli Cocchi
Respirando la vita, disegnandola, suonandola
Batterista di lungo corso ma anche disegnatore, Gigi Cavalli Cocchi, è un artigiano dal potere visionario di una matita e dei suoi colori. Sono sue tante copertine di dischi famosi, è suo persino un numero di Topolino del 1968 ed è suo questo libro dal titolo “Il respiro del tamburo. Storie di successi e di mai successi” edito da Anniversary Books.

“…continuo a credere che tutto debba ripartire dal riappropriamento della dimensione originale della musica, ovvero quello fatto dal rapporto fisico tra chi sta su un palco e un pubblico che ne legittima la ragion d’essere. Quel tipo di emozioni che non ha niente in natura che lo può sostituire”. (G. Cavalli Cocchi).

 

Nella mia lunga cavalcata radiofonica su RT Radio Terapia (anche in collaborazione con Loudd, che rimandava in etere i podcast) ho incontrato tanto e tanto ancora sto scoprendo dai riverberi delle mie lunghe interviste. In una di queste, spulciando nella semplicità de Lassociazione, scopro la ricchezza che c’è dietro il batterista Gigi Cavalli Cocchi, forse uno di quelli che ha un posto tutto suo nella cerchia dei nomi che contano. Da Ligabue ai Clan Destino, dai CSI al rinnovamento di Zamboni e compagnia cantando, lunga è la schiera di nomi, perché quella di Cocchi è una carriera enorme che non ha bisogno di presentazioni, di delucidazioni o di ammennicoli vari.

Oggi Gigi ci racconta un frammento di tutto questo, dagli esordi del Liga a dischi epocali come Tabula Rasa Elettrificata, dalle innumerevoli derive che la musica regalava alla gente di tutti i giorni che la musica la celebrava davvero, fino a quella vita fatta di esplosioni continue, di rivoluzioni, di improvvisazione, di pulmini improvvisati e di notti scambiate col giorno, ma fatta anche di tantissimo mestiere, cresciuto tra le mani di un ragazzo divenuto poi uomo e artista.

Batterista di lungo corso ma anche disegnatore, Gigi Cavalli Cocchi, è un artigiano dal potere visionario di una matita e dei suoi colori. Sono sue tante copertine di dischi famosi, è suo persino un numero di Topolino del 1968 ed è suo questo libro dal titolo “Il respiro del tamburo. Storie di successi e di mai successi” edito da Anniversary Books. Poco a che fare con una personale biografia, perché qui il privato e l’autoreferenzialità lasciano il posto (con soffice eleganza) alla nudità degli eventi. Semplici, com’erano semplici un tempo che la gente non era complice delle tante costrizioni sociali, impacchettati in un fluire digitale che ha scarnificato fino alle ossa l’esperienza e l’ha impoverita fino all’inverosimile, l’ha resa povera e cruda del fattore umano. L’uomo ha smesso di esistere oggi in luogo dell’apparire digitale, dettato, nei tempi e nei modi, dalle macchine di largo consumo. Persino un gigante della parola come Hitler sosteneva che il dialogo non è forte in sé, ma lo diviene solo e soltanto misurandolo e sagomandolo a fronte di un dovuto ritorno da colui che ci sta ascoltando. L’ascolto, che prevede uno scambio e un reciproco esistere. Oggi invece siamo macchine, video da telefonini, spot pubblicitari che parlano senza esistere, senza un pubblico di carne che respinge, accoglie, condanna e ribadisce la nostra parola. Nessuna reazione oltre alla sterilità povera dei “like” da tastiera. Tristezza pura.

In questo libro, invece, torna l’uomo e la sua arte di esistere, torna l’incontro, l’esperienza, torna il potere della seduzione che arriva dalla carne, dal sudore, dal caso che spesso dribbla la morte stessa. In questo libro torna la vita di carne e il suono delle ossa. Gigi Cavalli Cocchi ci racconta così quasi 50 anni di vita, tra disegni e dischi, colori e fotografie, aneddoti impensabili e mai conosciuti che vivono dietro quella cronaca discografica che possiamo rintracciare ovunque. Gigi Cavalli Cocchi ci porta dietro le quinte della musica e dell’arte che un tempo governava la vita di tutti noi, e mi ha regalato un’esperienza, un’esperienza racchiusa tra le pagine di questo libro che custodirò con grandissima gelosia.

Torneremo a vivere da uomini o stiamo accogliendo la trasmutazione in macchine automatizzate e non pensanti? Non conosco la risposta, non so che dire, ma so cosa leggere, cosa conservare e come difendermi. E finché avrò fiato nelle vene, ascolterò i loro dischi e penserò a quanto sudore, arte, rischio, lavoro, tempo, sacrificio e sconfitta c’è dietro ogni singola nota, dietro ogni singolo tratto di matita. Per questo forse al tamburo va concesso più che uno solo dei suoi respiri salvifici.

E poi, questo libro, è bellissimo anche solo da sfogliare.

Colore. Io adoro le parole Gigi e penso che questa sia una parola importante per te, per la musica, per questo libro, per la tua vita. Che rapporto hai con i colori?

Il colore è vita ed ha su di me un potere quasi magico. Ho un particolare rapporto con lui perché nascendo prima come disegnatore e più avanti come musicista, fino dall'infanzia mi sono immerso in un mondo tracciato da una matita che ne definiva i contorni, ma erano proprio i colori a donargli il “soffio vitale" e sono loro la cifra della tua anima. La traccia di un dipinto ne delimita i confini, ma il colore descrive la tua spiritualità. Se pensi a come la stessa musica spesso prenda a prestito il termine “colore” per venire raccontata, potrai capire come per me sia presente. Il mio libro è una tavolozza che li racchiude tutti e che esprime molto bene il viaggio che ho voluto narrare, non a caso i disegni e le fotografie hanno un ruolo importante ne “Il Respiro del Tamburo”.

Allegoria. Eccone un’altra. Parlando del Gigi Cavalli Cocchi disegnatore, da Topolino agli animali sulle copertine famose dei dischi, dalle caricature agli oggetti che circondano anche la copertina di questo libro (come immagino di trovarne anche per le stanze di casa tua), oggetti circensi, allegorie (appunto) della realtà. Per te cosa significa “deformare” i contorni del reale? Perché sembra che la tua penna guardi sempre in quella direzione, o sbaglio?

È vero, è come se il mondo che mi circonda non fosse a volte sufficiente a soddisfare la mia sete costante di stupore, e allora dove Lui non fa abbastanza, ci metto del mio. Credo derivi da una ricerca costante del fantastico, come a voler protrarre all’infinito il mondo fiabesco della giovinezza. Ho sempre ricercato il bello e l’emozione. Riguardo a quest’ultima ho sempre sostenuto che anche ogni singolo giorno sarebbe stato sprecato se non fossi riuscito ad emozionarmi, anche solo per un attimo. Sono stato molto fortunato perché, grazie alla musica e all’arte visiva, ho avuto la possibilità di realizzare questo obiettivo. La creatività e la fantasia in questo senso sono uno strumento salvifico che mi permette di “crearli” quegli universi, nei quali trovare rifugio. 

In copertina c’è un grammofono e non un lettore cd, c’è un rullante come piatto e nessuna traccia del futuro. Ti chiedo quindi, che rapporto hai col futuro?

Il futuro è presente costantemente perché rappresenta la progettualità, che inevitabilmente getta il nostro sguardo in avanti. Ti dirò che per una buona parte della mia vita è come se non fosse esistito altro, ma questo, ho scoperto col tempo, è una naturale peculiarità della giovinezza: il passato non ha così tanta importanza, anzi, quasi sempre viene messo in discussione e contestato. Poi però con la maturità avviene uno scatto e ti accorgi della sua importanza, così lo vuoi addirittura salvaguardare. Il futuro assume allora una diversa importanza perché si arricchisce di quella percentuale di passato, che te lo fa affrontare con più coscienza. Mi piace appoggiarmi sui punti cardinali di quel passato che fanno parte del nostro bagaglio di viaggio per costruire un futuro più consapevole.

Anche a Radio Terapia abbiamo a lungo parlato della musica degli “anni d’oro”, di quando cioè nasceva dagli incontri, dal “suono suonato”, dal caso e soprattutto dall’ostinazione di voler seguire un sogno. Questo libro fotografa aneddoti di grande vita vissuta (e non ancora finita, sia chiaro…), però mi viene da chiederti: oggi, in quello che vivi, riesci a ritrovare quel sapore? Come ti rapporti al nuovo modo di pensare alla musica e al suo mestiere?

Con la consapevolezza che tutto sta cambiando alla velocità della luce e che occorre conoscere e adottare le nuove istruzioni per l’uso. La musica navigava già in cattive acque ben prima della pandemia e ancor di più nel nostro paese è penalizzata. Mi riferisco a quel segmento della musica che non viene riconosciuta come colta, ma che poi era l’unica a sorreggere l’intero settore. Ma dato per scontato che su questo fronte le cose non cambieranno a breve, va detto che l’incarnazione del “futuro”, tanto per ricollegarmi al discorso fatto pocanzi, non le ha di certo portato benefici. Inutile raccontarci barzellette: se un tempo la veicolazione della musica tramite i supporti garantiva una forma di rientro economico per l’artista, ora la liquidità della diffusione si risolve per la maggior parte degli autori in un pugno di mosche in termine di royalties. La rete è un oceano immenso che accoglie ogni cosa ma la rende il più delle volte invisibile come una goccia risucchiata dalle sue onde. Difficile dire quali strumenti avremo modo di utilizzare per invertire la tendenza, ma di sicuro il rapporto diretto con l’ascoltatore non può passare per lo schermo di un telefonino o di un computer; continuo a credere che tutto debba ripartire dal riappropriamento della dimensione originale della musica, ovvero quello fatto dal rapporto fisico tra chi sta su un palco e un pubblico che ne legittima la ragion d’essere. Quel tipo di emozioni che non ha niente in natura che lo può sostituire.

Il libro arriva proprio con lo scadere delle libertà. Poi la pandemia. Posso dirti che leggendolo ho trovato chiavi importanti per resistere a questa che molti cercano di far passare come “nuova normalità”?

Mi piace pensare che il mio libro possa essere uno strumento capace di trasmettere il mio entusiasmo nei confronti dei propri sogni e mai come ora c’è bisogno di credere che i desideri e le aspirazioni possano trovare ancora spazio. Già immaginare una “nuova normalità” grazie alla possibilità del ritorno a buona parte della “vecchia normalità” sarebbe un successo. Forse solo proprio ora ti rendi conto di quanto ci mancano le “vecchie abitudini” e allora ecco che “il Respiro del Tamburo”, con le sue vicende e le immagini, evocano un piccolo/grande patrimonio di vita che ci piacerebbe rivivere. Il libro non nasce come alternativa in un momento dove fare musica ci era precluso, è il frutto di quindici anni di appunti e ricerca nei miei archivi di immagini. Diventa così un diario di bordo di un’epoca quasi perduta dove però l’elemento centrale è l’amore per qualcosa, che non invecchierà mai e può incarnarsi in ogni periodo storico, a maggior ragione adesso.

Tantissimi aneddoti. A bruciapelo e senza preavviso: in radio ci hai raccontato degli autografi chiesti a Ligabue pensando che fosse Piero Pelù. Ora hai tutto il tempo di rifletterci e regalarcene un altro che non troviamo nel libro…

La mia collaborazione con i C.S.I. iniziò con il tour di Linea Gotica. In quell’album il gruppo aveva reinterpretato “E ti vengo a cercare” di Franco Battiato, brano che ovviamente veniva riproposto dal vivo. L’11 maggio del 1996 suonavamo al Vox di Nonantola (MO), che era sold out, e nel bel mezzo dell’esecuzione del pezzo, Giovanni Lindo si bloccò, e quando doveva attaccare l’ultima strofa fece scena muta. Ovviamente il resto del gruppo continuò a suonare in attesa che lui trovasse il momento propizio per ripartire, ma questo non avveniva e io mi girai verso il bassista Gianni Maroccolo con sguardo interrogativo, per cercare di capire come uscire dalla situazione di stallo, finché dopo alcuni interminabili giri strumentali, il nostro leader disse al microfono: “Ferretti, perché ti ostini a cantare, che fai cagare??!!”. Il pubblico esplose in un boato, ed io vidi Gianni che con la testa mi fece cenno che poteva bastare. Piccolo feel sui tamburi e fine del pezzo. Un successone!

Claudio Rocchi. Devo dirti che “Volo magico n.1” è un disco che ho nel cuore. Io ci ho lavorato di sguincio, alla promozione del suo ultimo lavoro, ma non è assolutamente la stessa cosa. Mi racconti per te chi era e chi è stato per te Claudio Rocchi, e cosa hai rapito dal suo essere poco terreno?

Claudio era un’anima superiore, lo percepii già dall’uscita di quell’album e ho avuto il privilegio di conoscerlo e di restarne affascinato. Ho sempre ammirato la sua capacità di “anticipare” le cose e di lanciarsi anima e corpo nelle avventure più straordinarie, che si trattasse di vita fisica o spirituale, per non parlare del suo coraggio e della coerenza di cambiare vita incarnando uno spirito di reale libertà. Il mio primo “incontro ravvicinato” con lui fu nel 1978, quando io e Gianfranco Fornaciari (Clan Destino) aprimmo un suo concerto con il nostro gruppo di Jazzrock, di lì a poco Claudio partì per l’India dove ha vissuto per quindici anni nella più totale castità secondo i dettami degli Hare Krishna, per poi ritornare nel “mondo occidentale” con rinnovato entusiasmo e voglia di intraprendere una nuova esistenza. Io lo incontrai di nuovo nel 2003 quando fu mio ospite a Data Base su Rock TV e dove iniziò una amicizia fatta di vicinanza empatica che da lì non si è mai interrotta. La sua essenza e quello che me lo fa ricordare come una delle persone più belle che abbia mai conosciuto sta tutta in una frase che fa parte di “Volo magico n°2”: “Voi credete di cambiare il mondo con un pugno chiuso e non sapete quanto potreste dare aprendo la vostra mano”. In questa affermazione sta la sua eredità e il suo dono.

Che poi, fatta eccezione per Ligabue e Clan Destino (e cose analoghe), spesso hai collaborato in progetti che hanno cercato altro nella forma canzone. Dagli Aerostation ai CSI. È corretto? Cosa ne pensi? Pensi che in qualche modo la musica che hai incontrato sia un po’ come il destino che ha scelto per te?

Se credi ciecamente nel destino accetti che sia lui a decidere ogni cosa e non ti poni la domanda, lasci semplicemente fluire le cose, ma di sicuro con me ha vinto facile, perché la mia curiosità e la voglia di sperimentare mi hanno sempre fatto imbarcare in progetti che non necessariamente sono diventati di successo o di massa. L’elemento comune è sempre stata l’attrazione che mi portava a lanciarmi senza rete nelle avventure musicali più diverse, e il “successo” stava nel fatto che mi sentissi orgoglioso del risultato artistico. Seguendo questa filosofia, posso dire che anche dopo anni, ripercorrendo i dischi e le collaborazioni fatte, mi sento soddisfatto di ogni cosa.

E se il tratto di matita un po’ tanto rivela il carattere di chi la matita la muove, la grande varianza di generi musicali che hai suonato che tratto di te raccontano? Che filo conduttore possiamo rintracciare?

Il filo conduttore è la ricerca dell’emozione e del nuovo, dove il nuovo va letto come elemento di innovazione all’interno della mia personale esperienza. C’è chi abbraccia un credo musicale o un genere specifico e lo persegue per tutta la sua carriera e va bene così. Per me l’elemento centrale è sempre stato il bisogno di sperimentare possibilità diverse, per questo ho sempre portato avanti progetti paralleli, come ora che ne ho in piedi cinque, oltre alla reunion dei Clan Destino con tanto di nuovo album che inizieremo a registrare a giugno e il nuovo disco di Massimo Zamboni previsto per l’autunno. Se c’è un filo conduttore è proprio la ricerca costante di quell’eccitazione che la musica riesce da sempre a trasmettermi. Un amore che non ha mai subito interruzioni.

Perché questo libro Gigi? Sembra quasi che voglia dire che, ormai, i nuovi suoni e i nuovi modi di vivere non porteranno più grandi storie.

Mi auguro che di grandi storie ce ne saranno ancora molte, io ho raccontato solo un piccolo frammento di una stagione della musica, che con quegli ingredienti di certo non si ripeterà più. Mi sento di essere stato testimone di un periodo dove la musica aveva un significato per le persone che oggi è cambiato. Più che di tirare le somme ho sentito il bisogno di raccontarla quella storia, che prende spunto dal mio vissuto e chiama in causa alcuni miei miti personali, magari anche con qualche “backstage” poco noto. Un libro scritto e illustrato di avventure nel mondo delle sette note, dove io sono solo uno dei protagonisti. Per fortuna la voglia di fare e progettare è ancora tanta ma ogni tanto fermarsi e fare il punto della situazione è necessario. “Il Respiro del Tamburo” poi, vorrei che lasciasse l’idea nel lettore di come un sogno vada alimentato con ogni mezzo e che il vero “successo” non è solo in funzione della popolarità o del conto in banca, ed io alla fine del libro do una mia personale interpretazione di quel termine.

Chiudiamo, promesso. Se il rock è morto come dicono da tempo, se la musica e la cultura soffre… la matita? Diventerai mai un disegnatore?

Ho continuato ad essere un disegnatore sempre, anche quando poteva sembrare che la musica mi avesse completamente assorbito da non concedere spazio ad altro. Molti dei disegni che ho inserito nel libro sono infatti nati in tour o in studio di registrazione. Ho sempre trovato il tempo in tutti questi anni di realizzare copertine di dischi, illustrare libri e dipingere quadri. Musica e disegno saranno sempre un tutt’uno, e comunque il rock non morirà mai!!!


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